La cosa più risibile, se non fosse patetica, è l’utilizzo di espressioni enfatiche come «rivoluzione culturale» a fronte di un’operazione né nuova né bella ma del tutto in linea con la tradizione. Fu l’errore di Renzi ed abbiamo visto com’è finita. Ora che Foa è stato bocciato dalla Commissione Vigilanza dicono che si è fermato il cambiamento. Ma se avessero davvero scelto il cambiamento avrebbero messo la Gabanelli, o Freccero, o De Bortoli, o, perché no, uno poco malleabile come Santoro alla presidenza della Rai; e a capo della vigilanza non certo un ex dipendente di Mediaset: e scelto come direttore generale persona più adatta al servizio pubblico, come anche uno dei predetti nomi sarebbe stato, o lo stesso Minoli.

Dal canto suo Foa appare figura a dire il vero abbastanza incolore, se non fosse per le posizioni filoputiniane e sovraniste; una delle più deboli nel lungo elenco dei presidenti prodotti dalle lottizzazioni Rai della seconda Repubblica. Il figlio alle dipendenze di Salvini, che lo ripropone con arroganza, dovrebbe poi suggerirgli un passo indietro, per stile ed opportunità.

Per il resto il vero problema dell’opposizione Pd che invoca garanzie democratiche è che è davvero difficile per questo partito poter aprire bocca sulla, per certi versi inedita, lottizzazione gialloverde. Non solo perché esso ha un tasso di credibilità sulla Rai pari quasi allo zero, essendo responsabile di una riforma nel 2015 che, come la Gasparri del 2004, ha consegnato l’azienda al governo, ma anche perché presenta ancora in prima fila, a parlare di pluralismo violato, gente come Anzaldi, che ricordiamo si spese, appena insediato in Vigilanza, per la censura dell’imitazione della Boschi fatta da Virginia Raffaele.

Ciononostante crediamo che il punto oggi non sia (solo) quello delle responsabilità passate di Renzi & Co, ma lo spettacolo avvilente dato da una forza politica come il M5S che della Rai liberata dai partiti e dalla politica aveva fatto uno dei punti qualificanti del suo impegno.

La presidenza di Fico in Vigilanza ha sempre sottolineato questo aspetto. Chi, a ragione, in questi giorni sottolinea il poco nobile esempio che proviene dal passato, non deve dimenticare che il duo Salvini-Di Maio ha messo però all’ordine del giorno una plateale trattativa globale, spintasi fino al casting annunciato, su commissione vigilanza, presidenza Rai, amministratore delegato e direttori di reti e testate come finora nessuna lottizzazione aveva avuto il coraggio di fare.

Tanti anni fa Veltroni dichiarò che alla Rai serviva «non un proprietario in più, ma molti in meno», per poi accettare la «lottizzazione perfetta» e la Terza rete, era il 1987, per inciso uno dei pochissimi esempi di buona lottizzazione da cui peraltro il Pci non ricavò nulla in termini di consenso, dando però al Paese una rete innovativa e vincente; Berlusconi negli anni Novanta affermò che alla Rai non avrebbe spostato nemmeno una pianta, per poi far cacciare in maniera miserabile Biagi (con Santoro e Luttazzi); Renzi giurava da rottamatore che avrebbe messo i partiti fuori dalla Rai, salvo omettere di dire che invece ci avrebbe portato il governo.

Ora al posto del cambiamento assistiamo al solito film, con nomi di basso profilo, trattative politiche sui telegiornali (con Salini e il cda nel ruolo di notai, a quanto pare), un’arroganza che speravamo di non vedere più, in ultimo uno sfumato sfondo clientelare-amicale. Al posto della rivoluzione i Cinque stelle, alla Rai almeno, hanno fatto vedere un calesse mal ridotto. Vediamo se saranno capaci, impiccandosi su Foa, di smentirsi definitivamente. Tutto ciò mentre Grillo ci vorrebbe convincere che il razzismo di cui si parla nel paese dopo fatti come quelli di Aprilia, Moncalieri, Napoli ed altri ancora, è un’invenzione dei media. Ma allora era una narrazione inventata anche la storia dei socialisti ladri, cioè i tanti fatti di corruzione raccontati dai media dell’epoca e che Grillo sintetizzò in una magistrale battuta a «Fantastico ’86», quella che gli costò l’esilio televisivo?