Nel 1875 Luigi Pennazzi intraprende il suo primo viaggio in Africa. Risalendo il corso del Nilo giunge a Gondocoro, un popoloso centro sul fiume, giusto fino a quel punto navigabile, nell’estremo meridione del Sudan Egiziano e quasi al confine, secondo le suddivisioni del tempo, tra Congo, Uganda e Kenia.

Vita straordinaria di viaggiatore la sua. Rampollo d’una nobile famiglia piacentina, nasce all’Avana di Cuba. Studia a Marsiglia e a Bruxelles. Non ancora ventenne, attraversa a cavallo la Cordigliera delle Ande, da Valparaiso a Santa Fé. Nel 1859 combatte a Solferino e poi, per un decennio, fino al 1871, segue Garibaldi all’Aspromonte, a Bezzecca, a Mentana. Della sua partecipazione in Epiro alla causa della libertà della Grecia, Pennazzi testimonia in La Grecia moderna, stampato da Treves nel 1879.

Dei suoi viaggi americani e africani dà conto nei due volumi Dal Po ai due Nili, che pubblica a Milano nel 1882. E nel 1880, 1881 e poi nel 1883 torna in Africa, sbarca a Massaua in Eritrea e raggiunge Khartum. Rientra nel 1883 a Massaua allestendo una spedizione alla quale partecipano, tra gli altri, lo zoologo Paolo Moretti e l’avvocato Guglielmo Godio, recente autore di Schizzi egiziani presso gli editori torinesi Roux e Favale.

Godio racconta quella sua avventura in una serie di articoli che appaiono su «La Gazzetta Piemontese» e, con il titolo Vita africana. Ricordi di un viaggio nel Sudan orientale, formeranno un libro che ebbe un certo successo, tempestivamente pubblicato da Vallardi a Milano, nel 1885.

Tra le molte pagine assai attraenti e vive, Godio fornisce, è da credere tenendo a modello l’amico Pennazzi, anche un ritratto del viaggiatore. Del viaggiatore, scrive, «per istinto, per passione, colui che, avido d’istruirsi, anziché leggere nei libri scritti, ama leggere nel gran libro delle cose, che nel viaggio vede il mezzo più efficace per elevarsi, per dilatare le sue idee, per nutrire il suo intelletto, che si sente attratto irresistibilmente dal fascino dell’ignoto».

Tuttavia, verso l’ignoto è buona regola andare, ci mette in guardia l’avveduto avvocato piemontese, «provvedendo per tempo ad un savio equipaggiamento». E non solo non lesina Godio consigli e preziose indicazioni a chi volesse a quel tempo recarsi in Africa, ma con estrema puntualità e diligenza fornisce più di un elenco di indispensabili «provviste» non mancando di suggerire di farle non in Africa, ma «in Europa e da negozianti di confidenza, esigendo sempre i generi di primissima qualità se alimentari o medicinali, i più perfezionati se trattasi di fornimenti di abiti o tende, eccetera».

Veniamo così messi a parte di alcune norme basate sulla sua diretta esperienza e invitati a scelte relative all’equipaggiamento, oculatamente motivate. Ampi paragrafi trattano, in successione, del Vestiario; degli Alimentari; degli Strumenti scientifici; dei Doni («L’Africa è il paese ospitale per eccellenza. Onde, scrive Godio, la necessità di avere nel bagaglio una quantità di doni assortiti destinati a contraccambiare l’ospitalità ed i favori che il viaggiatore riceve»); e, infine, delle Armi.

Del Vestiario mi limito a segnalare l’elogio del copricapo che chiamiamo casco e che Godio nomina come «il cappello così detto di Calcutta», ovvero «l’elmo di sughero coperto di tela bianca o avana, adottato dagli Inglesi nelle Indie», leggerissimo, ampio, «munito sul culmine d’uno sfiatatoio». Spunta i dardi del sole equatoriale.

Degli Alimentari è possibile fare un suggestivo elenco, a cominciare dalle ditte e dalle marche alle quali Godio si è rivolto, alcune diffuse ancora oggi nel mercato: «la provvista più saggia, più lodata ed apprezzata dai compagni ch’io abbia fatta, si furono quattro casse di legumi conservati in scatole del rinomato Cirio». E poi, atteso che «è un vecchio pregiudizio quello che assevera essere l’uso dei liquori pernicioso nei climi caldi», ecco una nutrita lista delle ditte Cora di Torino, Branca di Milano e Buton di Bologna: «Cognac fine champagne; Benedictine; Amaro Coca; Fernet; Elixir Coca»: nomi soavi da pronunciare (e da delibare) felici, sotto un baobab, quando nella foresta annotta.