La centrale a carbone Federico II di Cerano, a Sud di Brindisi, è uno degli impianti più grandi e inquinanti d’Europa. Di proprietà dell’Enel, negli ultimi anni è stata oggetto di numerose indagini e procedimenti giudiziari. In particolare, per inquinamento dei campi circostanti e del mare in cui finiscono le acque di raffreddamento e smaltimento illegale delle ceneri. Con i suoi 2640 MW, oggi funziona a regime ridotto, in un mercato elettrico italiano che vede un eccesso di capacità di generazione. Secondo la strategia energetica nazionale, la centrale dovrà chiudere i battenti al 2025 così come tutti gli impianti a carbone italiani, così da ridurre le emissioni climalteranti del paese. Poco si parla degli impatti sulla salute e sul territorio, nonostante due studi, uno del Cnr e poi uno della Regione Puglia nel 2017, abbiano documentato un aumento significativo di tumori e malattie cardiovascolari e respiratorie nell’area. In molti nella città pugliese si augurano che finalmente la Procura indaghi la questione fino in fondo, come avvenuto a Savona per la centrale a carbone di Vado Ligure.

Gli ultimi due anni sono stati quanto mai agitati per il destino della Federico II. Nel 2018, un attivista di lunga data del comitato No al carbone, Riccardo Rossi, è stato eletto a sindaco della città con una lista civica parte di una coalizione di centro-sinistra. In tanti si aspettavano che lo spegnimento della centrale avvenisse in tempi brevi e che si potesse così iniziare a parlare di bonifica delle tante aree devastate dagli insediamenti industriali. Alle fine del 2018, l’Enel ha chiesto alla un’esenzione dalle prescrizioni sui filtri della centrale incluse nell’autorizzazione ambientale integrata concessa dal ministero dell’Ambiente. Il Comune ha prontamente impugnato la richiesta.

Ma negli ultimi mesi lo scenario si è capovolto. Il maggio scorso Enel ha annunciato che mira al 2025 per installare nella stessa area della centrale due gruppi a gas per un totale di ben 1680 MW al fine di garantire la sicurezza della rete elettrica nazionale anche dopo l’uscita dal carbone. Una giustificazione alquanto dubbia, se si pensa alla taglia esagerata dei nuovi gruppi a gas e che in Puglia è installata la stragrande maggioranza della generazione da nuove rinnovabili con 5200 MW.

Ciononostante la proposta di Enel, brandita con forza dal governatore pugliese Michele Emiliano, ha convinto il sindaco a dare il suo beneplacito rendendo felice la lobby del gas, guidata dalla Snam e dalla Tap, che costruisce il famigerato gasdotto che porta il gas azero dal Caspio fino al Salento. Una delusione per i tanti attivisti che pensavano ad uno sviluppo diverso per il loro territorio.

L’Enel ha subito debordato chiedendo addirittura un’esenzione dalla valutazione dell’impatto ambientale del nuovo impianto al gas. Almeno questa richiesta è stata avversata dal sindaco, mentre siamo in attesa della decisione del governo. Con lo switch a gas all’Enel va di lusso, visto che potrebbe rimandare la bonifica del sito di industriale inquinato di Cerano, che continuerebbe a funzionare. Si aggiunga che anche la A2A, che controlla la centrale a carbone di Brindisi Nord, sita proprio nel porto della città e spenta dal 2014, ha proposto essa stessa nuovi impianti a gas, presentando subito un progetto con relativa Via. Ciliegina sulla torta, sembra che la Provincia di Brindisi sia stata approcciata da investitori per l’installazione di solare fotovoltaico a terra che sacrificherebbe ulteriori 500 ettari di terra.

In questo contesto di nuove aggressioni energetiche ai territori, si ripropone anche un nuovo attacco del carbone dal mare. Visto che le navi che arrivano sin dalla Colombia scaricano il carbone di Enel nel porto da cui parte un nastro trasportatore lungo ben 13 chilometri verso Cerano, l’Ilva di Taranto, in difficoltà per l’inagibilità di un suo molo nell’altra città pugliese, ha chiesto di scaricare carbone e materiali ferrosi per la produzione di acciaio nel porto a Brindisi per poi portarli con camion fino a Taranto. Su questa ipotesi la cittadinanza brindisina è insorta e il sindaco ha sollevato la sua contrarietà. Quella del carbone a Brindisi sembra una maledizione tarda a morire e che, pur quando finita, non porterà ad una transizione giusta e che smetta di sacrificare la città alla sfrenata produzione elettrica ed industriale.