La ricerca appassionata della bellezza («io non mi arrendo» nonostante i morti ammazzati e le corse a perdifiato nella notte per arrivare sul luogo del delitto. Letizia Battaglia ha fotografato l’orrore senza dimenticare mai la speranza, guardando i cieli e i volti della sua bellissima Palermo, la città alla quale è sempre andata «incontro con amore, perché a me piace camminare per i suoi vicoli, dove c’è la puzza».
Se già le immagini di Battaglia avevano nel loro dna innescata la miccia deflagrante di una bomba (anche se la reporter non ha mai voluto riprendere la realtà a colori, soprattutto quando raccontava l’orrore della morte violenta), il loro effetto viene potenziato dalla visione del documentario La Mia Battaglia. Franco Maresco incontra Letizia Battaglia (durata 30’).

IL FILM, esposto nella mostra in corso al Maxxi dedicata alla fotografa siciliana Per pura passione, oltre duecento scatti tra cui l’installazione labirintica Anthologia, fino al 17 aprile), sarà proiettato all’Auditorium del museo oggi alle ore 18,00, alla presenza dell’autore e di Letizia Battaglia che, a seguire, dialogheranno liberamente con il pubblico.
Il film, prodotto dall’Associazione culturale Lumpen grazie al contributo del comune di Palermo, ribadisce l’intreccio passionale, mai reciso, tra lei e Palermo, luogo difficile, ma con una geografia urbana costellata di emozioni forti. Come l’odore fra gli ulivi del primo corpo assassinato che le toccò fotografare, stando pure controvento. Dopo quel rito di sangue, arrivarono «gli anni del disastro».

MARESCO CHIEDE come cominciò quell’attrazione fatale per una città ruvida e splendida come Palermo e Letizia comincia dai primi passi, da quando bambina vi giunse da Trieste e subito le fu negata la libertà di vagabondare per le strade da suo padre, preoccupato per la sua incolumità. Poi, prosegue descrivendosi come la ragazza con la Pentax K1000 sempre al collo, ventiquattr’ore al giorno, mentre scandagliava le pieghe amare e gioiose della città. Difficile per lei rendersi credibile fra i giornalisti della dura cronaca siciliana: correva insieme agli altri per «fermare» la notizia, ma una biondina con gli zoccoli e le gonne a fiori dava fastidio, soprattutto ai poliziotti. Fino a quando a crederle fu Boris Giuliano, il capo della squadra mobile che verrà assassinato dalla mafia nel 1979.

Di fatto, la Storia è passata attraverso il suo obiettivo e Battaglia si è conquistata ben presto un posto, il migliore, sfoderando una sensibilità tutta sua, «schizofrenica», la chiama. E proprio il disagio mentale sarà uno dei temi che più la interesseranno, quando farà il suo lavoro di volontariato nell’ospedale psichiatrico di Palermo.

LO PSICOANALISTA Francesco Corrao l’aveva aiutata a uscire fuori dalla sua di follia e lei, ormai libera, era andata incontro a chi stava male. Lo fece a modo suo, portando una palla per giocare e superando con leggerezza la diffidenza di chi non viene mai contattato in quanto essere umano e non conosce interazioni possibili con la sua malattia.