Armi e droni non hanno frontiere. Nel fine settimana, gli Stati uniti hanno compiuto due raid, uno in Somalia e l’altro a Tripoli. In Libia hanno catturato un presunto capo di al Qaeda, Abu Anas, e spinto il governo a chiedere «spiegazioni» agli Usa per non essere stato informato. Tripoli, pur precisando di essere legata a Washington da «un partenariato strategico», ha definito «un sequestro» la cattura di Abu Anas (nella foto), smentendo le accuse del figlio: «Quelli che hanno sequestrato mio padre parlavano il dialetto libico», ha detto il giovane.

Gli Stati uniti fanno «tutto quel che è in loro potere, e che è appropriato e legale per porre fine alla minaccia terrorista», ha risposto invece ieri il Segretario di stato americano John Kerry, ritenendo inutile «entrare nei dettagli». I «dettagli» sono quelli delle rendition. Il sequestrato è ormai «un detenuto degli Stati uniti», ha dichiarato il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel, è stato portato a bordo di una nave da guerra dell’Us Navy presente nella regione per essere interrogato, e poi trasferito «in un luogo sicuro, all’esterno della Libia». Era sulla lista dei super ricercati dall’Fbi. Sulla sua testa il Pentagono aveva messo una taglia di 5 milioni di dollari, ritenendolo implicato negli attentati contro le ambasciate Usa in Tanzania e in Kenya commessi nel 1998, e che hanno provocato oltre 200 morti.

Il raid delle forze Usa in Somalia ha invece avuto come obiettivo la testa di un keniano di origine somala, Abdulkadir Mohamed Abdulkadir: un dirigente del gruppo islamico shebab soprannominato «Ikrima». Secondo le accuse era legato a due noti esponenti quaedisti deceduti, implicati negli attentati del ’98 e negli attacchi di Mombasa, in Kenya, del 2002. Un’operazione – la più importante compiuta dagli Usa in Somalia dal 2009 – messa in campo due settimane dopo l’assalto contro il centro commerciale Westgate di Nairobi, rivendicato dagli shebab (almeno 67 morti). A differenza dei libici, il Primo ministro somalo Abdi Farah Shirdon ha dichiarato che questo tipo di cooperazione «non è un segreto». Un responsabile del Pentagono ha poi fornito una sua versione di quella che – secondo gli shebab – è un’operazione fallita. «Il personale americano ha preso tutte le precauzioni necessarie per evitare di uccidere civili – ha detto il responsabile Usa – e si è disimpegnato dopo aver fatto qualche vittima tra gli shebab, ma non siamo in grado di identificarle». Gli shebab hanno sostenuto di essere stati attaccati, per mare e dal cielo, da commando delle forze speciali Usa, britanniche e turche, di aver subito una sola perdita ma di aver provocato «numerose vittime tra le forze straniere». Ankara e Londra hanno smentito la loro partecipazione.

La Somalia è in preda alla guerra civile dalla caduta del presidente Siad Barre, nel 1991. Gli shebab – affiliati ad al Qaeda – hanno subito importanti rovesci militari nel centro e nel sud somalo negli ultimi due anni, incalzati anche dall’esercito etiope e dalle forze dell’Unione africana (Amisom), a cui partecipa il vicino Kenya, che sostengono il fragile governo di Mogadiscio. Controllano, però, ancora ampie zone rurali e qualche porto come Barawe. La Libia, dopo la caduta di Muammar Gheddafi, sembra correre verso lo stesso baratro.