È stato presentato alla Berlinale nella sezione Panorama dove ha vinto il premio del pubblico, vincitore in Belgio di 6 Magritte Award: esce nelle sale il 22 marzo Insyriated del direttore della fotografia belga Philippe Van Leeuw qui al secondo lungometraggio dopo Le jour où Dieu est parti en voyage storia di una donna tutsi durante il genocidio del 1994.
Damasco assediata dalla gerra infinita è il soggetto di questo film ambientato tutto in un appartamento che la padrona di casa non vuole lasciare a nessun costo. La sua è l’ultima famiglia a vivere nel palazzo distrutto e saccheggiato. Una famiglia borghese e colta, con le pareti tappezzate di libri e i rituali quotidiani che devono essere svolti con consuetudine a dispetto della guerra, dell’acqua che manca, del cibo che scarseggia, della polvere che invade tutto. Una tenda leggera che copre una vetrata è la cortina fragile che separa l’appartamento dai bombardamenti, due sbarre alla porta di ingresso fatto da barriera. Di fronte a quelle tende il nonno osserva quello che succede fuori con sguardo distaccato, la piccola domestica immigrata inizia i suoi lavori in cucina, i numerosi nipoti cercano di vivere la vita da ragazzi anche se intrappolati nell’appartamento, le adolescenti con le loro occupazioni e i primi amori che sbocciano a dispetto delle bombe, il piccolo con i suoi giochi.
Ma ci sono anche altri ospiti, quelli del piano di sopra che è andato completamente distrutto, una giovane mamma (l’attrice libanese Diamond BVen Abboud) con il suo neonato e il marito che hanno già in programma la sera stessa di lasciare il paese e raggiungere il Libano. Si percepiscono forti le assenze, quella del padrone di casa che è un medico e forse combatte ed è rimasto bloccato sulla via del ritorno a casa e quella del giovane marito che esce per andare a rilasciare un’intervista che ha promesso di fare. Ma dopo pochi passi è intercettato da un cecchino e cade tra i rifiuti del cortile. Lo ha visto la domestica ma la padrona le ordina di non dirlo a nessuno, nemmeno alla moglie: non si può scendere in strada per non diventare facili bersagli
Interpreta la padrona di casa con la sua espressione più drammatica l’attrice palestinese Hiam Abbas (La sposa siriana, Il giardino di limoni, Blade Runner 2049): «la guerra finirà presto», rassicura il figlio piccolo, mentre le notizie fortunosamente captate al computer dicono che ormai la città è sotto assedio e tutto è fuori controllo.
Come in un incubo ricorrente qualcuno cerca di forzare la porta già sbarrata e riesce a entrare dalla veranda. Il panico è tenuto sotto controllo dalla padrona di casa che riesce a far restare tutti in cucina, in silenzio. Resta fuori dalla porta solo la giovane mamma facile preda degli assalitori sciacalli alla ricerca di oggetti di valore da portar via, che la credono la sola inquilina dell’appartamento.
Il film è strutturato per far vivere allo spettatore occidentale così abituato ai film di guerra, ai notiziari televisivi, così invulnerabile nel consumare azioni belliche, un’esperienza non in prima linea, una vicenda di vita comune, nel ristretto perimetro di un luogo che dovrebbe essere inviolabile e sicuro. Il senso di placida sicurezza è violata. Virginie Surdej alla fotografia produce nell’appartamento, una penombra, unica luce smorzata protettrice che dà conforto e normalità nel consueto percorso delle stanze utilizzato durante la giornata che poi si restringono sempre di più per contenere tutti quanti in un unico luogo come dentro a un rifugio. Damasco non si vede, si percepiscono soltanto i boati dei bombardamenti, i colpi dei cecchini, il silenzio minaccioso al di là di quelle leggere tende dai colori tenui che per anni avevano fatto da involucro sicuro alla pace domestica. Il film racconta non una vicenda, ma uno stato d’animo drammatico a cui partecipare di quanto avviene a soli pochi chilometri dalle nostre case, concentrato sulla forza delle donne che riescono a mantenere comunque unita la famiglia, eroiche nell’affrontare situazioni al limite. L’unico elemento realistico è forse il vecchio professore, il nonno che osserva il disastro fuori dalle vetrate, unico compagno il fumo della sigaretta e i ricordi. Forse in quella casa non è rimasto più nessuno.