Dopo la bocciatura del Dramma barocco tedesco che avrebbe dovuto garantirgli l’accesso all’università, a Walter Benjamin rimane aperta l’incerta strada della dipendenza economica da istituzioni culturali come quella dell’Istituto di Ricerche Sociali di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno per i suoi studi. Una strada fatta di precarietà, corroborata da collaborazioni occasionali con giornali e radio che comunque non avrebbero potuto sostituirsi all’aiuto fornitogli dalle finanze familiari. La condizione precaria di Benjamin si aggrava quando il nazismo lo costringe all’esilio in Francia e da qui al tentato espatrio negli Stati Uniti naufragato con il suicidio a Port Bou il 26 settembre del 1940.

ANCHE NELLA DIFFICILE condizione di chi fugge con pochi mezzi, Benjamin non rinuncia a portare avanti i suoi studi e a scrivere. Gli scritti del periodo dell’esilio francese portano forti i segni delle difficili condizioni in cui era venuto a trovarsi. Altresì forti in questi testi sono le tracce del condizionamento degli interlocutori che anche a distanza cercano di influenzare e indirizzare la sua opera. La filologia di queste intricate e controverse vicende inscindibilmente testuali e biografiche, solo in parte ricostruibili attraverso gli scambi epistolari, ha determinato una vera e propria competizione sulla sull’opera interrotta dall’improvvisa morte.

Da un lato gli interlocutori a distanza come Adorno e Horkheimer (dalla loro parte si schiererà anche Scholem dopo l’interruzione dei rapporti con Arendt in seguito alla pubblicazione di Eichmann a Gerusalemme nel 1963) e dall’altro lato Hannah Arendt che con Benji (questo il modo familiare con il quale la filosofa si rivolgeva a Benjamin) era entrata in contatto diretto proprio nell’ultima fase della sua vita. È proprio sull’intenso rapporto con Arendt durante l’esilio francese e sulla ricezione postuma dei suoi ultimi scritti che verte il libro Hannah Arendt Walter Benjamin, L’angelo della storia. Testi, lettere, documenti (a cura di D. Schöttker e E. Wizisla, traduzione italiana di C. Badocco, Giuntina, pp. 263, euro 15).

Il volume ha un valore documentale notevole. Vi compare tradotta dal tedesco la prima versione del saggio di Arendt su Benjamin pubblicato a più riprese nel 1968 sulla rivista «Merkur» – saggio che nello stesso anno diventerà il testo dell’introduzione a Illuminazioni, la raccolta di scritti allestita da Arendt che risulterà determinante per la diffusione dell’opera di Benjamin soprattutto nei paesi anglofoni.

NELL’ANGELO DELLA STORIA troviamo pure per la prima volta la traduzione italiana facsimilare delle Tesi sul concetto di storia nella versione che Benjamin aveva dato a Arendt. Questa versione fornirà una delle basi fondamentali per la primissima edizione di questo scritto nel ciclostilato commemorativo fuori commercio allestito dall’Istituto francofortese nel 1942 a ricordo della morte di Benjamin. Nel libro curato da Schöttker e Wizisla, a parte il loro importante saggio introduttivo, troviamo anche tradotti in italiano e in riproduzione fotografica cartoline, lettere e altri documenti di Arendt, Benjamin e altre personalità coinvolte nel conflitto sulla proposta e ricezione dell’opera di quest’ultimo.

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Su cosa si appunta la controversia su Benjamin fra Arendt e gli altri? Si è detto più volte che la contesa riguarda in che misura si possa considerare materialistico il pensiero storico politico di Benjamin e, di conseguenza, quanto nella sua opera invece continui o meno ad agire la teologia, riguardo la quale Benjamin interloquiva soprattutto con Scholem.

UNA LETTURA ATTENTA dei documenti di questo libro, al di là del materialismo, della teologia e di altri elementi concettuali, alimenta il sospetto che la controversia su Benjamin verta anche su ragioni in un certo senso personali e biografiche che i curatori del volume definiscono come la volontà di «risarcimento» di Arendt per i danni provocati al pensiero e all’opera di Benjamin dalla condizione di dipendenza e precarietà che i supposti amici francofortesi non avrebbero saputo e voluto lenire.

Secondo Arendt, Benjamin sarebbe stato letteralmente tradito proprio da chi intellettualmente e materialmente avrebbe potuto e dovuto aiutarlo. Dalle lettere raccolte nel libro, si nota che l’intenzione di Arendt di contrapporsi a Adorno e Horkheimer riguardo Benjamin si palesa ben prima che lei scriva il saggio sull’amico pubblicato da «Merkur» nel 1968 e altresì prima della pubblicazione delle Lettere curate da Scholem e Adorno che avevano fatto deflagrare a più ampio raggio la polemica su Benjamin. Già in una sua missiva a Blücher dell’agosto del 1941, Arendt si esprime senza mezzi termini nei confronti di Horkheimer e Adorno che arriva a definire «porci», sostenendo che il manoscritto delle Tesi sul concetto di storia inviato a loro da Benjamin in realtà era stato fatto sparire da loro stessi che non avrebbero voluto pubblicarlo, così come non avevano pubblicato quella che Arendt in una lettera inviata a Adorno chiama la «versione originale» del saggio su Baudelaire. Solo forse la circostanza della commemorazione della morte di Benjamin, secondo Arendt, avrebbe potuto convincere quelli dell’Istituto di Ricerche Sociali a pubblicare, come infatti avvenne, l’ultimo lavoro di Benjamin e cioè le famose Tesi sul concetto di storia che la stessa Arendt aveva provveduto nuovamente a inviare a Adorno.

OLTRE LA PRESA DI POSIZIONE che esprime soprattutto nello scritto pubblicato su «Merkur», Hannah Arendt vuole anche una sua personale selezione di scritti di Benjamin. All’inizio dell’appendice del libro curato da Schöttker e Wizisla, si trova una significativa foto della filosofa che brandisce sorridente l’edizione tedesca delle Illuminazioni mentre annuncia a che presto il libro sarà disponibile anche in inglese e che l’edizione in due volumi degli Scritti di Benjamin curati da Adorno e sua moglie Gretel «è esaurita già da anni ormai».