Un’altra bordata giudiziaria contro il governo di Cristina de Kirchner. La prima riguarda la vicenda dei «fondi avvoltoi», difesi dal giudice Usa Thomas Griesa, la cui sentenza rischia di rimettere in ginocchio le finanze argentine. La seconda è stata sparata dall’interno. Colpisce il vicepresidente Amado Boudou, incriminato venerdì notte da un magistrato federale, Ariel Lijo. L’accusa è di «corruzione passiva e trattative incompatibili con l’esercizio della funzione pubblica»: per aver favorito l’impresa Ciccone attraverso l’acquisizione del fondo The Old Fund tramite un prestanome.

È la prima volta nella storia del paese che un vicepresidente in carica viene perseguito per corruzione.

Insieme a Boudou sono state incriminate, a vario titolo, altre cinque persone. Una manovra contro il governo, ha dichiarato giorni fa il vicepresidente, dicendosi innocente: una manovra – ha precisato – dei grandi gruppi economici, colpiti dalle politiche sociali del governo kirchnerista. I suoi avvocati hanno inutilmente chiesto un supplemento d’indagine, ma il giudice ha disposto diversamente. A Boudou sono anche stati sequestrati beni per 200.000 pesos (25.000 dollari), ma non è stata emesso nessun ordine di custodia cautelare. Il 9 giugno, uscendo dall’ufficio del giudice per l’interrogatorio, il vicepresidente era stato accolto da una manifestazione di sostegno e da una capitale tappezzata di manifesti contro «la parzialità» del giudice e la «strumentalità» dell’inchiesta.

Boudou ha ricevuto la notizia a Cuba, prima tappa di un viaggio che lo porterà poi a presenziare all’assunzione d’incarico del nuovo presidente del Panama, Juan Carlos Varela. All’Avana, ha preferito soffermarsi sulle «grandi aspettative» per le relazioni con l’isola. «Questo viaggio – ha detto – è parte del grande sogno dell’America latina per una vera integrazione che aiuti a farla finita con il colonialismo economico». Agli avvocati, il compito di convincere la stampa di opposizione argentina che Boudou non sta facendo melina per evitare un’altra rogna giudiziaria, procuratagli dall’ex moglie, che lo ha coinvolto in un presunto caso di documenti falsi nel possesso di un’automobile. Il vicepresidente – che da giovane produceva spettacoli musicali e qualche volta si è presentato ai comizi con la chitarra elettrica – è nel mirino dei giudici e della stampa di opposizione da quando Cristina Fernandez lo ha scelto come vice. Secondo i suoi detrattori, il cinquantunenne viceministro è un «bel tenebroso» che gira in Harley Davidson, ama il rock e ha fatto soldi troppo in fretta, e che è anche passato per il Centro de Estudios Macroeconomicos Argentinos (Cema), culla degli economisti di ortodossia neoliberista. Durante la campagna elettorale ha però ricevuto l’appoggio della Confederación General del Trabajo (Cgt), di Hebe de Bonafini, leader delle Madri di Plaza de Mayo e di altri dirigenti di sinistra.

Nel 2009, durante il primo periodo di governo di Cristina Fernandez è stato ministro dell’Economia e nel 2012 un altro giudice ha tentato di metterlo sotto processo per «l’aumento indebito del suo patrimonio».
Anche i fatti su cui sta indagando Lijo rimontano a quel periodo. Nel 2010, Boudou sarebbe intervenuto per acquistare, tramite un prestanome, partecipazioni nella società tipografica Ciccone, detentrice del monopolio dell’emissione di banconote, sull’orlo del fallimento. E anche all’origine di questa denuncia vi sarebbero veleni di famiglia, all’interno dei Ciccone.

Intanto, il paese continua a essere col fiato sospeso per via dei «fondi avvoltoi», che pretendono il pagamento completo del debito contratto ai tempi della grande crisi del 2001-2002 che portò l’Argentina al default. Nel 2005 e nel 2010, la stragrande maggioranza dei risparmiatori ha accettato di ristrutturare al 50% e entro il 2038 il debito di 100.000 milioni di dollari. Una percentuale esigua di fondi speculativi ha però respinto ogni tentativo di negoziato e si è rivolta ai tribunali Usa: ottenendo soddisfazione da Griesa, che ha ingiunto a Buenos Aires di pagare i «fondi avvoltoi».

Il governo argentino si è allora rivolto alla Corte Suprema Usa, ma il ricorso è stato respinto il 16 giugno e la palla è tornata al magistrato: il quale ha rifiutato anche di accogliere la richiesta di sospensione della sentenza, nonostante il clamore suscitato a livello internazionale per una decisione che può far storia nella finanza globale.