Con Dante è cambiato tutto. L’uomo, il marito, il padre, il guerriero, il re di una piccola isola che aspirava soltanto a tornarvi dopo i troppi anni spesi nell’assedio di Troia, è diventato un nomade della conoscenza, un emblema dell’inquietudine mai soddisfatta, è diventato un desiderio di tutto sperimentare e di tutto sapere.

DANTE FA DI ULISSE «l’uomo senza pace e senza riposo che va alla ricerca di ciò che oltrepassa ogni limite, fino a diventare l’ombra inquieta di ognuno di noi», come scrive Maria Grazia Ciani nel suo Tornare a Itaca. Una lettura dell’Odissea (Carocci, pp. 101, euro 12. Ma si potrebbe dire che «dopo Dante, Ulisse non è più Ulisse», non è più il pianto che percorre come un sentiero i momenti più tragici dell’Odissea, gli incontri più dolci, le rivelazioni più inattese, la morte che sembra incombere dal mare, «il grande nemico, la distesa d’acqua senza strade, la parte dell’universo che non si può coltivare: la natura, in sostanza, nel suo aspetto minaccioso e imprevedibile».

Il mare è uno dei veri protagonisti del poema, le cui figure sono numerose e famose: Poseidone, Polifemo, le Sirene, i Feaci, Scilla e Cariddi. L’altro protagonista è il Sole, sono i legami che questo dio intrattiene con gli umani, con il cosmo e con Odisseo. Figlia del Sole è Circe, al Sole appartengono le vacche che abitano l’isola sacra (forse la Sicilia), la cui uccisione comporta la morte di tutti gli ultimi compagni che a Ulisse erano rimasti.

IL MARE E IL SOLE costituiscono la dinamica ambigua e infinita della vita, degli elementi, del tempo. Il cielo si offre a Ulisse con Circe e poi con Calipso. Le viscere della Terra si spalancano e lo avvolgono durante la sua discesa nel regno dei morti, nell’Ade. Anche per questo Ulisse è molteplicità, è differenza: «astuto, cinico, crudele, subdolo, pietoso, innamorato, infedele, avido, generoso, vigliacco, coraggioso, sincero, bugiardo». In tutto questo però «l’Ulisse di Omero è sparito per sempre».
Si può dunque dire che Ulisse è una delle incarnazioni più emblematiche dell’ermeneutica, del fatto che la vera storia di un personaggio letterario, di un’opera, di un concetto sono i suoi effetti nel tempo.

E QUESTO CONFERMA la potenza degli antichi canti dei Greci che vennero selezionati, messi per iscritto e ai quali si diede il titolo di Iliade, la guerra, e di Odissea, i viaggi e i ritorni. Vale a dire i due archetipi della letteratura universale perché modello e forma delle esistenze di tutti noi: i conflitti, la casa, gli affetti, lo spazio, l’inquietudine, la morte.
Maria Grazia Ciani raccoglie e dispiega queste dinamiche in un volumetto agile e profondo, che ben mostra e chiarisce la struttura del poema, «così calibrata nelle tre parti, nelle tonalità diverse assunte nelle diverse circostanze, il viaggio di Telemaco, la rapsodia di Ulisse (che rappresenta una specie di omaggio allo splendore dell’arte degli aedi), il desolato ritorno e la lenta riappropriazione del suo universo privato».

SE QUANDO SI PENSA all’Odissea è quasi esclusivamente al secondo momento che ci si riferisce – ai viaggi e alle avventure che lo stesso Ulisse racconta ai Feaci –, si tratta in realtà di un disconoscimento della più propria natura omerica del personaggio, che è la sua domesticità, il suo volere a tutti i costi tornare a casa. Da qui il titolo del libro e il senso di tale lettura: «Il figlio di Laerte e Anticlea, lo sposo di Penelope, il padre di Telemaco muore a Itaca, è sepolto a Itaca. ‘Questa è la verità che ti dico’, così aveva profetizzato Tiresia». E così l’Odissea omerica si compie. Dopo è iniziato un altro viaggio.