A inizio agosto erano stati 65 i facchini impiegati in un magazzino di Bologna che avevano ricevuto via messaggio Whatsapp la notizia del loro futuro licenziamento. Per la precisione, per usare le parole dell’azienda, si trattava della «sospensione dell’attività lavorativa». Una notizia che aveva fatto gridare allo scandalo in molti, e fatto intervenire anche il ministro del Lavoro Orlando.

Ieri, sempre nel bolognese, una nuova denuncia: i 50 lavoratori di un magazzino di Calderara, paese a pochi chilometri dal capoluogo, hanno scoperto sul web che il loro capannone è stato messo in affitto su di un sito web specializzato. «Affitto capannone di 4650 mq di recente costruzione, ideale per logistica, corrieri, spedizionieri», recita ancora l’annuncio. Prezzo 20 mila euro al mese. Così, navigando in internet, i lavoratori hanno appreso che il loro posto di lavoro è a rischio. Comunicazioni ufficiali dall’azienda nessuna. Protestano i Si Cobas, che hanno dichiarato lo stato di agitazione, e protesta anche la Cgil che annuncia «ogni azione necessaria» per salvare i posti di lavoro, e spiega di aver dato mandato ai suoi legali di studiare una causa legale.

Secondo l’annuncio pubblicato sul web, il magazzino dovrebbe già essere libero da inizio ottobre, e quindi i tempi sarebbero ridotti. Come quasi sempre quando si parla di logistica la situazione è complicata dalla catena di appalti e subappalti. Il magazzino, spiegano i sindacati, sarebbe infatti in mano ad una società, la Nexive, recentemente assorbita da Poste Italiane, ma nel capannone i lavoratori sono inquadrati dalla cooperativa Work Più, che si occupa materialmente della movimentazione della merce, e si parla anche di pacchi e altro materiale postale. In realtà c’è un’altra azienda, la Dg, che farebbe da intermediaria tra Nexive e Work Più. «Alle svariate richieste di incontro che le organizzazioni sindacali hanno rivolto a Nexive la società ha irresponsabilmente deciso di non dare riscontro e di non presentarsi, non fornendo, in questo modo, alcuna spiegazione sul futuro del magazzino e lasciando i lavoratori e le lavoratrici in un assoluto stato di incertezza», scrive la Cgil.

Carlo Parente, il funzionario della Filt Cgil che si sta occupando del caso, parla di un classico caso di finta cooperativa: «Abbiamo tutti gli elementi per sostenerlo, i lavoratori iscritti al nostro sindacato riferiscono di non essere mai stati convocati per le assemblee dei soci, in più noi non abbiamo incontrati i vertici della coop, che non è iscritta a nessuna centrale cooperativa, ma solo consulenti del lavoro e avvocati». Le procedure per arrivare allo sciopero sono state attivate, spiega Parente. Che fine faranno i lavoratori che nel magazzino lavorano da più di 10 anni? Come spesso avviene nei magazzini quando la situazione precipita, capita che lavoratori che si conoscono e lavorano fianco a fianco da sempre abbiano destini differenti. Una quindicina, i dipendenti diretti di Nexive, potrebbero salvarsi con una ricollocazione in altro magazzino.

Per tutti gli altri, quelli più in basso nella catena, si prospetta invece il peggio. «Protesteremo e lo faremo chiamando in causa anche Poste Italiane andando a chiedere conto direttamente nei loro magazzini. Non ci dicano che c’è un calo del lavoro, perché quel che sta succedendo è una riorganizzazione decisa da Poste italiane. Qui a rimetterci sono solo i lavoratori che ormai valgono meno dei pacchi, e con ogni evidenza questa operazione serve solo per tagliare i costi e aumentare i profitti. Noi non lo tollereremo», spiega Tiziano Loreti del Si Cobas.