A Lugansk, punta estrema orientale dell’Ucraina, gli insorti continuano ad occupare la sede dei servizi segreti, pur avendo rilasciato almeno 56 dei 60 ostaggi; secondo la televisione nazionale i blindati del governo sarebbero già in moto. A Donetsk prosgue la protesta dei filo russi: è stato annunciato un referendum e i manifestanti continuano a stazionare all’interno degli edifici governativi.

La situazione è ancora tesa, all’interno di un paese diviso e che vede aumentare ogni giorno il costo della vita. Kiev ha reagito come nei giorni precedendi, trasmettendo un ultimatum ai ribelli del Donbass: il governo ucraino ordinerà l’uso della forza per sgomberare gli edifici governativi ancora occupati dagli attivisti filo russi a Donetsk e Lugansk se i negoziati in corso non avranno dato esito positivo, per risolvere la crisi «entro 48 ore». Lo ha annunciato il ministro degli interni Arsen Avakov, in una conferenza stampa al termine di un consiglio dei ministri.
«Ci sono due opzioni, l’opzione politica con negoziati, e l’uso della forza. Proponiamo negoziati e una soluzione politica a chi vuole il dialogo. Le autorità ucraine risponderanno con la forza alla minoranza che invece vuole il conflitto», ha affermato il ministro degli interni. Majdan, dunque, dopo avere generato un governo, si muove ora verso la repressione. I negoziati, del resto, non riguardano solo le province orientali, bensì la generale situazione del paese.

La ribellione a est, che non pare placarsi, ha reso necessaria una nuova ondata diplomatica che dovrebbe risolversi in un incontro la prossima settimana. La portavoce di Catherine Ashton – alta rappresentante della Ue- ha precisato che «sono ancora in corso» le consultazioni per definirne l’agenda della riunione a quattro tra Ue, Usa, Russia e Ucraina, confermando la possibilità che si possa già svolgere «la prossima settimana in Europa, ma non a Bruxelles». A questo proposito ieri si è espresso anche Putin: «Spero che i facenti funzione (il governo ucraino, instaurotosi secondo Mosca con un colpo di Stato) non facciano nulla di irreparabile». Lo ha detto aprendo una riunione di governo, nella quale ha auspicato che «l’iniziativa del ministero degli esteri russo per migliorare la situazione abbia un esito positivo».

Mosca continua a ribadire la propria posizione, basata su una riforma costituzionale che proponga un assetto federalista, per scongiurare il rischio di spaccature, ma confermare le aree di influenza. La Russia continua a usare l’arma del gas come ovvia misura per spingere Kiev ad accettare la propria road map.
Ieri il premier russo Medvedev ha resto noto che il debito complessivo di Kiev per il gas russo ammonta a 16,6 miliardi di dollari. La cifra, ha spiegato Medvedev, comprende i 2,2 miliardi di dollari per le forniture di gas, 11,4 miliardi di dollari di «mancati profitti» (per lo sconto anticipato legato agli accordi del 2010 per la proroga della base navale a Sebastopoli) ed altri 3 miliardi di dollari, ovvero la prima tranche del prestito di 15 miliardi di dollari poi revocato.

E Putin ha messo il carico, sostenendo che la Russia richiederà il pre pagamento delle forniture del gas con un mese di anticipo. Putin, ha infatti sottolineato che se l’Ucraina non accetta di sedersi a un tavolo per consultazioni con Mosca avanzando controproposte, la Russia «sfrutterà ogni possibilità offerta dai contratti del gas». «Non possiamo continuare ad aiutare l’Ucraina all’infinito», ha affermato il presidente russo. Quanto al resto degli scambi con l’Ucraina, Putin ha dato mandato al governo di proseguire l’attuazione dei contratti normalmente, pur dicendosi pronto a sostituire i prodotti importati dall’Ucraina.

Nel frattempo si risente l’Unione europea, completamente fuori dai giochi nelle ultime settimane: secondo quanto riferito da fonti europee alle agenzie di stampa, ci sarebbero resistenze tra gli stati membri per la messa in atto delle sanzioni di terzo livello contro la Russia, che la Commissione europea ed il servizio di azione esterna stanno mettendo a punto. La valutazione delle sanzioni a più ampio raggio, la cui definizione è stata chiesta dal Consiglio europeo di marzo, è prevista nel Consiglio esteri in programma lunedì prossimo a Lussemburgo.