Delineare un «Quadro globale per la biodiversità post-2020»: è l’importante obiettivo che si pongono dal 7 al 18 dicembre a Montreal i negoziati della Cop15, la Conferenza delle parti della Convenzione Onu sulla diversità biologica (Cbd) che lavora dal 1992. La crisi di biodiversità è evidente. Oltre un milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione in tempi molto brevi. Occorre «arrestare e invertire il trend», a beneficio di tutti. «Umani, noi vi salveremmo, se…», potrebbe essere il motto della vita selvatica e degli ecosistemi.

IL LIVING PLANET REPORT 2022, pubblicato dal Wwf due mesi fa e che analizza 32 mila popolazioni di oltre 5 mila specie, mostra un calo medio del 69% delle popolazioni di specie di vertebrati – mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci – analizzati dal 1970 al 2018. Funesta la realtà anche per le popolazioni vegetali: specie insostituibili di alberi e piante sono scomparse. Perdita degli habitat, cambiamenti climatici sovrasfruttamento delle specie, dilagare di specie invasive, inquinamento e malattie sono concause in questa distruzione e lavorano a circolo vizioso.

ENTRO IL 2030 LE AREE PROTETTE secondo la bozza del Quadro potrebbero arrivare al 30% del totale, sia a terra che negli oceani. Ma la biologa vegetale Joan Laur, citata dal sito francese Reporterre, si chiede cosa avverrà del restante 70%… Assisteremo a un biodiversity washing? Del resto, gli obiettivi di Aichi, fissati in Giappone dalla Cop10, non sono stati raggiunti. Il Rapporto del gruppo di lavoro riunitosi a Nairobi in giugno e sul quale verteranno i negoziati (relativamente a 21 obiettivi entro il 2030 e 4 entro il 2050) è zeppo delle classiche parentesi quadre. E si parla di «incitamenti a misure urgenti», non di obblighi. Ma sembra ottimista la segretaria generale della Cbd, Elizabeth Mruma Vrema: «I paesi si rendono conto dell’urgenza; non ripeteremo i fallimenti precedenti»; e mette al centro i nessi fra estinzione delle specie, perdita degli ecosistemi e caos climatico.

«UN PASSO AVANTI», PER GREENPEACE, in vista dei negoziati Cop15 è l’accordo fra il Parlamento europeo e i governi nazionali europei su una nuova legge che impone alle aziende di dimostrare che i loro prodotti non hanno contribuito alla deforestazione, in nessuna fase della filiera di approvvigionamento. Una condizione per poterli vendere nell’Unione europea. Si compiace l’organizzazione ambientalista: «La legge si applicherà alle aziende che vendono soia, carne bovina, olio di palma, legno, gomma, cacao e caffè, e alcuni prodotti derivati come cuoio, cioccolato e mobili».

TUTTAVIA «ALTRE AREE NATURALI assai sensibili come savane e torbiere sono ancora non tutelate, così come i diritti umani delle popolazioni indigene», e oltretutto, avverte Federica Ferrario, campaigner agricoltura di Greenpeace Italia, «i governi dell’Ue hanno optato per una definizione poco rigorosa di «degrado forestale, rischia di diventare una scappatoia per chi vuole continuare a tagliare legname in modo insostenibile». Manifestazioni di attivisti di Greenpeace sono in corso in tutta Europa per chiedere ai governi di garantire a Montreal un nuovo accordo globale per la protezione della natura e un’azione più incisiva in ogni nazione.

BIRDLIFE INTERNATIONAL di cui fa parte l’italiana Lipu, ha elaborato una serie di position papers e raccomandazioni sui vari aspetti della bozza negoziata a Montreal. Il Quadro globale sarà, a seconda dei risultati, «un’opportunità subito o mai più». Oltre a rispettare e proteggere i diritti umani contenuti nelle convenzioni e dichiarazioni, per Birdlife occorrono impegni precisi da attuare entro il 2030. Ecco i minimi sindacali: «Conservare almeno il 30% delle aree di terra e mare, soprattutto quelle chiave per la biodiversità, con una gestione efficace ed equa riconoscendo i diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali, che sono tutori e beneficiari»; ma anche «recuperare almeno il 30% degli ecosistemi degradati, con un focus su quelli più importanti per la biodiversità e la mitigazione e adattamento climatici».

E POI, «SALVAGUARDARE, RIPRISTINARE e collegare gli ecosistemi ancora intatti e le aree chiave per la biodiversità» e «ridurre perdita e degrado degli habitat naturali mediante una pianificazione che riguardi il 100% dei mari e dei territori su una scala ecologica rilevante». Non basta: togliere gli indugi sull’impegno per le specie: «Ridurre il rischio di estinzione di almeno il 20%; porre fine all’estinzione per mano umana delle specie minacciate (…); destinare alle più minacciate programmi d’azione speciali». Robusti meccanismi di monitoraggio e di applicazione dovranno vegliare e spingere.

TUTTO CIO’ RICHIEDE ANCHE SOLDI, da ridirezionare. Birdlife fornisce le cifre per dare un’idea: per allineare i flussi finanziari pubblici e privati a un’economia positiva per la natura, si riorientino i 500 miliardi di dollari annui destinati a incentivi e sussidi dannosi. E la finanza pubblica internazionale per la biodiversità richiede un passaggio di 60 miliardi di dollari annui verso il Sud globale. La bozza elaborata a Nairobi prevede un Fondo mondiale per la biodiversità, operativo dal 2025.

«PER LA SALVEZZA DEL PIANETA», il Wwf chiede ugualmente grandi ambizioni: «La Cop di Montreal deve rappresentare la svolta che l’accordo di Parigi ha rappresentato per il clima». E si può fare, purché le decisioni negoziali alla Cop15 e i piani di applicazione nazionali e internazionali lo consentano: «Il Quadro globale per la biodiversità offre un’opportunità unica per dimezzare l’impronta ecologica dei consumi e della produzione entro il 2030 e per concordare le azioni comuni su scala globale necessarie a incentivare una giusta transizione dei settori produttivi e finanziari, garantendo posti di lavoro e stili di vita, consentendo, allo stesso tempo, di proteggere e ripristinare la natura». Naturalmente per questo occorre «riorientare i sussidi a settori che danneggiano la natura» e «utilizzare gli aiuti allo sviluppo per favorire azioni benefiche per la biodiversità».