Ulisse – è stato detto – è l’eroe giusto per i tempi di crisi. Ed è stata forse l’astuzia della storia a far sì che a lui fosse dedicata una delle più belle e importanti mostre di questo travagliatissimo anno che stiamo vivendo. Ulisse. L’arte e il mito si inaugurò nello scorso febbraio a Forlì, nei Musei San Domenico, e ora, dopo una lunga chiusura a causa del lockdown, ha riaperto i battenti e sarà visitabile fino al 31 ottobre. Gianfranco Brunelli, giornalista e studioso dai molteplici interessi, è riuscito – sotto l’egida della locale Fondazione Cassa dei Risparmi – a portare a Forlì 250 opere di assoluto prestigio provenienti dai più grandi musei internazionali. Attraverso innumerevoli suggestioni e connessioni esse consentono di abbracciare come mai prima d’ora la straordinaria fortuna del personaggio, da Omero ai giorni nostri. Ne offre durevole testimonianza il catalogo curato, oltre che dallo stesso Brunelli, da Francesco Leone, Fernando Mazzocca, Fabrizio Paolucci e Paola Refici (Silvana Editoriale, pp. 464, € 34,00), eccellente sia per la qualità dell’apparato iconografico che per i saggi che lo corredano.
Ulisse è l’eroe forse a noi più vicino fra quelli antichi, perché non è a una sola dimensione: è polytropos, ‘dal multiforme ingegno’ (come traduce il Pindemente di scolastica memoria), ha tutte le qualità – positive e negative – che ce lo fanno riconoscere come nostro simile: il coraggio, certo, ma anche quell’intelligenza pratica capace di farsi astuzia e all’occasione inganno (la metis dei Greci), la prudenza che non esclude il rischio, la passione per la conoscenza, per l’andare oltre, unita all’amore per la propria casa e la propria patria, e soprattutto la resistenza e la resilienza. Queste sue tante facce hanno abitato in ogni tempo l’immaginario occidentale, talché raccontare di Ulisse ha sempre significato raccontare dell’uomo.

Il concilio degli dèi
Il percorso della mostra si apre con i resti di una nave greca arcaica, trovata nelle acque di Gela e mai esposta finora, che immediatamente ci proietta nella dimensione del viaggio: quello sulla scia di Ulisse, personaggio-simbolo della civiltà fondata sul mare, e quello attraverso l’arte che nei secoli lo ha rappresentato in immagini.
La nave è sotto lo sguardo delle divinità che, mosse da passioni non diverse da quelle umane, orientano e condizionano il viaggio dell’eroe. Il ‘concilio degli dèi’ è costituito qui da sculture greche e romane prestate dalle maggiori collezioni archeologiche del mondo e alloggiate nelle cappelle dell’ex chiesa, mentre sulla facciata interna di essa la stessa riunione degli dèi è interpretata da Rubens in una grande tela proveniente dalle collezioni del Castello di Praga, e nell’abside spicca un cavallo di Mimmo Paladino, evocatore del supremo inganno di Ulisse, quello che consentì di espugnare Troia e dare inizio al grande viaggio di ritorno.
La visualizzazione di alcuni dei principali episodi e personaggi del mito di Ulisse (le Sirene, Polifemo, Circe, Nausicaa, la discesa agli Inferi, Euriclea, Penelope, i Lestrigoni) nell’età classica è affidata alla ceramica dipinta, alle urnette funerarie, a bronzetti e a quello straordinario ciclo di affreschi provenienti da una casa romana del I secolo a.C., ora ai Musei Vaticani.
Nella sezione dedicata al Medioevo la parte del leone la fanno naturalmente le illustrazioni del XXVI canto dell’Inferno dantesco, grazie al quale Ulisse è diventato l’audace che per farsi ‘del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore’ si lancia ‘per alto mare aperto’ verso ‘il folle volo’, pagando con la vita la brama di sapere. Uno svincolo cruciale per far diventare Ulisse l’icona dell’inquietudine esistenziale dell’uomo moderno.
Nel Rinascimento le virtù di Ulisse diventano esemplari per la formazione del Principe: nelle regge e nei palazzi di mezza Europa si diffondono i cicli pittorici che ne fanno il simbolo del superamento delle prove, personali e pubbliche, che chi governa deve affrontare. Il ritrovamento del Laocoonte (1506), il celebre gruppo marmoreo che rappresenta un episodio collegato alla presa di Troia, accrebbe indirettamente l’interesse per Ulisse. Nella mostra un calco dell’opera oggi in Vaticano dialoga con la copia realizzata da Vincenzo de’ Rossi nel 1570.
Il Seicento accentua la teatralità delle peripezie di Ulisse e dei personaggi che le condividono. Spiccano, tra le molte opere in mostra, Ulisse nella grotta di Polifemo di Jacob Jordaens (dal Museo Puškin di Mosca) e Circe restituisce forma umana ai compagni di Ulisse del Guercino (dalla Pinacoteca Civica di Cento). In ambiente fiammingo fu Rubens a inaugurare l’interesse per Ulisse, che in seguito si estese fino alle manifatture di arazzi. La mostra ne propone uno realizzato da Geraert van der Strecken su cartone di Jordaens, raffigurante il confronto tra l’eroe e Circe. La bella maga, simbolo dell’eros che seduce e porta alla rovina, godette in età barocca di grande popolarità, attestata da altre importanti opere esposte.
Il neoclassicismo privilegia i temi legati alla famiglia e al ritorno di Ulisse a Itaca. Grande risalto assumono Telemaco, reso popolare dal fortunato romanzo Les aventures de Télémaque di Fénelon e Penelope, protagonista di significative opere di Angelica Kauffmann e Wright of Derby. Con Füssli, poi, i personaggi e la descrizione degli ambienti virano verso il sublime preconizzato da Burke, spingendosi a sondare i territori dell’onirico e dell’inconscio.

Hayez patetico e romantico
L’Ulisse alla corte di Alcinoo di Hayez esemplifica invece la declinazione dell’eroe in chiave patetica e romantica.
La fortuna dell’eroe omerico perdura con i Preraffaelliti e i Simbolisti caricandosi, come in Arnold Böcklin, di allusive inquietudini metastoriche.
Il ventesimo secolo, sulla scorta delle grandi rivisitazioni letterarie – Pascoli (1904), Kavafis (’11), Eliot (’17), Kafka (’17), Joyce (’22), Pavese (’36), Levi (’47) – propone anche nelle arti Ulisse come prototipo dell’uomo contemporaneo: enigmatico, diviso nel proprio io, lacerato da pulsioni irrisolte e contrastanti. Ne sono alfieri i fratelli De Chirico, Giorgio e Alberto Savinio, le cui opere non celano l’intento di sovrapporre il mito al dato autobiografico, ma anche Cagli, Carrà, Arturo Martini: nella piccola scultura in gesso del 1935 conservata a Vicenza, Martini rappresenta Ulisse nudo, mentre protende le braccia al cielo lanciando una preghiera – o un’imprecazione? – che lassù, forse, nessuno ascolterà: una perfetta immagine della solitudine e delle incertezze che attanagliano un eroe diventato, per dirla con Nietzsche, umano, troppo umano.
Il percorso della mostra si chiude, ritornando all’antico, con il magnifico busto trovato a Sperlonga, nella villa dove l’imperatore Tiberio aveva fatto collocare un’intera Odissea di marmo, opera di scultori di Rodi, databile forse tra la metà del I secolo a.C. e gli inizi del successivo; ma non senza che il visitatore si sia confrontato prima con la video-installazione The Encounter di Bill Viola: una riflessione poetica sul viaggio, il cui significato – ce lo ha spiegato il Kavafis di Ritorno ad Itaca – non è l’approdo ma il viaggio stesso, con i suoi incontri e le sue opportunità di scambio.
Gli scienziati parlano di ‘fattore Ulisse’, un gene presente in alcuni individui, che li spingerebbe al viaggio e all’avventura. Può darsi; ma non è questo che fa rischiare la vita ai tanti disperati che oggi, novelli Ulisse, varcano su imbarcazioni precarie quello stesso mare che vide le avventure dell’eroe omerico, dicendosi – come Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere – «ogni mare ha un’altra riva, e arriverò».