Gagauzia, ovvero «cielo blu» nella lingua locale, che deriva dal turco. Per le strade di questa piccola regione della Moldavia (che dal 1994 ha uno statuto di unità territoriale autonoma) oltre alle più “comuni” statue di Lenin, non è difficile imbattersi in mezzi busti di Atatürk o dell’ex-presidente della Repubblica turca, Süleyman Demirel. Nelle stazioni dei bus oppure seduti al bar si gioca a tavla (backgammon), mentre i chioschetti di street food vendono soprattutto shawarma.

 

«SIAMO SEMPRE STATI una comunità molto chiusa, perciò abbiamo conservato la nostra particolare identità», racconta Mihail Shalvir, originario di Congaz ed ex-consigliere comunale nonché membro del centro regionale per le iniziative di sviluppo. «Il popolo gagauzo ha iniziato a insediarsi in quest’area verso la fine del diciottesimo secolo, mischiandosi poi ai bulgari che scappavano dall’impero ottomano durante le guerre dell’Ottocento. Questo spiega i legami con la Turchia. Allo stesso tempo, però, siamo considerati dei “traditori”: turchi ma cristiano-ortodossi. All’epoca, l’impero russo ci garantì protezione e da quel momento c’è un sentimento di fiducia verso Mosca».

SENTIMENTO, QUELLO FILO-RUSSO, che pare rinnovarsi di volta in volta: poco dopo l’indipendenza della Repubblica moldava, truppe della Federazione hanno presidiato la zona favorendo il raggiungimento dell’autonomia, mentre nel 2014 un referendum ha sancito la ferma volontà (circa il 98% dei votanti) di non sviluppare ulteriori legami con l’Europa per orientarsi invece verso l’Unione economica eurasiatica. Infine, con le elezioni del 30 giugno scorso, la riconferma plebiscitaria (92% circa, affluenza al 51%) della presidente uscente Irina Vlah.

VICINA AL PARTITO SOCIALISTA di Igor Dodon, attenta alla propria immagine e desiderosa di rendere la Gagauzia «un polo di attrazione per tanti paesi», la sua era una vittoria annunciata: «I quattro anni di presidenza di Irina Vlah sono stati una costante campagna elettorale», afferma infatti il responsabile della ong Pilgrim-Demo Mihail Sirkeli, che ha monitorato le votazioni. «Non le interessano l’amministrazione o la burocrazia. Ciò che conta per lei è essere presente, stabilire una connessione con il popolo: ci sono una trentina di località in Gagauzia e non è passato giorno senza che in qualcuna di queste la candidata non organizzasse incontri, poi ritrasmessi sui suoi canali social.

In più, Irina Vlah ha l’appoggio “ufficiale” di Vladimir Putin, considerato una sorta di divinità qui. È l’unica a conoscere fino in fondo i meccanismi del consenso. In confronto, gli altri candidati erano semplici principianti».

IN EFFETTI, SULLA LUNGA VIA “della Vittoria” che collega l’autostazione con la piazza principale di Comrat, gli unici stand presenti sono quelli che recitano il suo slogan: «Orgogliosi di essere gagauzi». A un incontro pre-elettorale nel piccolo villaggio di Tomai, circa 20 chilometri a sud-est della capitale della regione autonoma, dal palco della casa della cultura comunale anche i suoi sostenitori confermano: «C’è un unico reale candidato». I depliant degli avversari (se esistono) sono degli A4 in bianco e nero, mentre Irina Vlah ha a sua disposizione accattivanti video che elencano i risultati dei quattro anni di presidenza. La linea è chiara e viene esposta ai potenziali elettori senza troppi fronzoli: «Irina Vlah ha lavorato assiduamente per stringere relazioni», dicono sempre dal palco di Tomai. «Si è incontrata senza sosta con capi di stato, ministri, funzionari e ora stiamo raccogliendo i frutti. È grazie a lei se la Gagauzia può contare su un sostegno finanziario che arriva da ogni direzione: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Unione europea, Russia e Turchia». Verso la regione autonoma stanno infatti sempre più convergendo gli interessi delle grandi potenze dell’area.

 

Irina Vlah durante una conferenza a Tomai (foto Andrea Bonetti)

 

L’UNIONE EUROPEA, per provare a costruirsi una piccola influenza soprattutto in seguito al referendum del 2014, ha avviato una serie di progetti di cooperazione e sviluppo che coinvolgono sia attività nei centri maggiori che la ricostruzione di strade ed edifici nei villaggi rurali. Mosca investe poco ma esercita un profondo soft power anche grazie ai suoi canali d’informazione, seguiti dalla popolazione che, oltre al gagauzo, parla principalmente russo e non rumeno. Ma è forse la Turchia il paese che sta acquisendo il peso maggiore: attraverso la Tika (l’agenzia turca per la cooperazione internazionale), Ankara ha aperto in Gagauzia ospedali, scuole, asili nido e centri culturali, senza contare le imprese private che, avvantaggiate dalla vicinanza linguistica e sociale, sono presenti numerose.

Lo stesso Recep Tayyip Erdogan si è lasciato fotografare sorridente con Irina Vlah e si è complimentato per la sua vittoria. Nei due giorni della «storica» (così l’ha definita Igor Dodon) visita in Moldavia dello scorso ottobre, il “sultano” si è recato anche a Comrat, accolto da bandiere turche e da una folla festante.

MA DIETRO AI CORDONI DI POLIZIA c’era anche chi non applaudiva. «Gli agenti mi tenevano d’occhio, temendo contestazioni. Ma io non cerco vendetta, voglio solo giustizia». Dal settembre 2018 Galina sta affrontando la battaglia legale per la liberazione del marito Feridon Tufekci, ex-direttore del liceo gulenista di Ceadir-Lunga accusato di terrorismo e arrestato assieme a 5 richiedenti asilo turchi (tutti impiegati nelle scuole Horizont) in un’operazione congiunta dei servizi segreti di Chisinau e di Ankara. Dopo il tentato golpe del 2016 in Turchia, infatti, Erdogan porta avanti con i suoi rappresentanti diplomatici una serie di attacchi verbali e legali contro le scuole fondate dall’imam Fetullah Gulen, indicato come responsabile del fallito colpo di stato.

Galina continua a vivere a lavorare a Comrat con il figlio e riesce a comunicare con il marito – ora detenuto nella prigione di Kirklaleri – solo attraverso lettere rigidamente controllate dai carcerieri. «Qua la gente non si pone domande, accetta tutto ciò che viene dall’alto. Sono felici che la Gagauzia sia riconosciuta a livello internazionale e che arrivino soldi, ma non si accorgono che abbiamo le mani sempre più legate. Che diritto hanno la Turchia e le altre potenze di operare così nel nostro paese?». La Corte europea per i Diritti umani ha condannato la Moldavia a risarcire i familiari degli estradati.

«A PARTE GLI AMICI PIÙ STRETTI, nessuno si è espresso in mio favore», conclude la moglie di Feridon. «I giornali moldavi non sono venuti a cercarmi e le autorità mettono la testa sotto la sabbia: Irina Vlah ha semplicemente detto «non è di mia competenza». Mi viene da pensare al suo slogan: «Orgogliosi di essere gagauzi». Dopo quello che ho passato, credo che invece dovremmo vergognarcene».