La Commissione inserirà dei “criteri sociali” nelle Raccomandazioni che invia agli stati ogni primavera? Anche se non sono vincolanti come i Regolamenti o le Direttive, le Raccomandazioni hanno un peso politico determinante, come nel caso del controllo della spesa pubblica. E’ una delle ipotesi che sono state discusse ieri a Göteborg in Svezia dai 28 capi di stato e di governo dei paesi Ue, che assieme all’Europarlamento e alla Commissione hanno preso l’impegno di un “proclama inter-istituzionale” sull’Europa sociale, la grande invisibile della costruzione europea degli ultimi due decenni.

Era vent’anni, difatti, che non si riuniva un summit sociale in Europa. Ma i dieci anni di austerità, le derive populiste, il rafforzamento dell’estrema destra e la disillusione crescente dei cittadini verso la costruzione europea hanno convinto i dirigenti che era ora di riprendere il filo abbandonato da decenni. Il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto che l’appuntamento sociale diventi annuale.

Il risultato del vertice è un embrione di “pilastro sociale”, in venti punti, per una lotta al dumping sociale, che comprende tre capitoli: 1) garantire nella Ue eguaglianza di possibilità e di accesso al mercato del lavoro; 2) condizioni di lavoro eque; 3) protezione e inserimento sociale. Questi punti affrontano temi come la parità, la lotta contro i working poors, il welfare, il diritto alla casa. Tra le principali proposte c’è il salario minimo in ogni paese Ue (in 6 sui 28 non c’è): non un salario identico (sarebbe impossibile, si va dai 230 euro della Bulgaria ai 2mila euro del Lussemburgo), ma “un salario minimo adatto alle situazioni economiche di ogni paese”, ha precisato Macron. L’idea è istituire un “processo” che porti verso una progressiva convergenza, in un orizzonte almeno decennale, come è stato con la moneta unica e con i deficit.

A Göteborg l’accordo è stato a minima, a parte la promessa di raddoppiare il finanziamento del programma Erasmus per studenti e apprendisti. I paesi dell’est, che hanno bassi salari, vedono nella prospettiva di armonizzazione sociale un attacco contro la loro economia. Il padronato è decisamente contro. Emma Marcenaglia, che ha la presidenza di Business Europe, ha detto chiaramente “no” a un embrione di Europa sociale: il credo è sempre la “mancanza di competitività internazionale” dell’Europa, che frenerebbe la crescita economica. La Confederazione europea dei sindacati ha invece accolto con favore l’ipotesi di una “base europea di diritti sociali”, ma vorrebbe che fosse “più solida”, per “assicurarsi che la dimensione e i diritti sociali siano al centro de processo europeo di integrazione”.

In Europa c’è un embrione di base sociale, c’è un coordinamento per esempio sulla protezione della salute e della sicurezza sul lavoro. C’è il programma Garanzia giovani, che ha interessato 16 milioni di persone ultimamente. C’è stato l’accordo sui lavoratori distaccati, il 23 ottobre scorso, che limita il dumping sociale impersonato – a torto – dall’ “idraulico polacco”, che ha contribuito alla vittoria del “no” in Olanda e Francia al Trattato costituzionale nel 2005. Ma la legislazione europea nel settore sociale è bloccata. Impossibile arrivare a un accordo su un miglioramento del congedo maternità, bloccato dal 2008 e sostituito nel 2015 da un pacchetto legislativo vago, sull’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. E’ in stallo la riforma sul tempo di lavoro massimo, che resta a 48 ore la settimana (norma del 2003). Non ci sono passi avanti sulla regolazione dei contratti atipici, mentre esplode il precariato.