Una «contraffazione» all’Olaf, l’Agenzia europea anti-frode. Costituita nel 1999, lavora per conto della Commissione europea ed è diretta da un magistrato italiano, Giovanni Kessler. L’Olaf ha il compito di indagare su casi di corruzione, frode ai danni del bilancio dell’Unione europea o di grave inadempimento degli obblighi professionali all’interno delle istituzioni di Bruxelles. Finora ha chiuso 3.500 fascicoli, recuperando 1,1 miliardi di euro con pene per complessivi 900 anni.

Nel 2012, l’Olaf ha aperto 718 nuove indagini e ha chiuso 465 casi. Conta su uno staff di cinque inquirenti, affiancati dal Supervisory Committee con il compito di controllare la loro attività. E proprio sulla regolarità di alcuni dossier si è aperto un vero e proprio braccio di ferro: i vertici di Olaf sono entrati in rotta di collisione non solo con il Parlamento europeo. L’oggetto del contendere riguarda il rispetto dei diritti fondamentali dell’Ue, quanto l’assoluta trasparenza delle procedure nei confronti degli imputati e di chi trasmette le segnalazioni. In gioco, la bilancia della giustizia europea insieme al sistema dei contrappesi politici e alla stessa credibilità dell’Olaf.

Sotto tiro, negli ultimi mesi, c’è finito il direttore dell’Olaf, Giovanni Kessler. Il magistrato italiano è alla sbarra, contestato per i metodi d’indagine non proprio impeccabili e per i comportamenti tutt’altro che cristallini, perfino dal comitato di sorveglianza dell’organismo con sede a Bruxelles, in rue Joseph II, 30. Soprattutto, il democratico di Trento è accusato da Verdi e Ppe, al punto che il dossier è arrivato sul tavolo del presidente dell’Europarlamento Martin Schulz.

Un vero e proprio «caso»: si è guadagnato l’attenzione di Emily O’Reilly, dall’estate scorsa Mediatore europeo. La signora irlandese ha aperto una procedura nei confronti dell’Olaf: conflitto aperto fra i principi fondamentali dell’Ue e il rifiuto di fornire spiegazioni, informazioni e motivazioni sulle indagini condotte dall’Antifrode. O’Reilly attende entro il 15 febbraio la risposta di Kessler alle sue raccomandazioni, che alimentano di nuovo la «guerra» sul fronte politico.

Nell’ottobre 2012 il super-magistrato italiano aveva inquisito il commissario maltese alla salute John Dalli, accusato di contiguità con la lobby del tabacco e costretto alle dimissioni. Ma quel rapporto (139 pagine datate 17 ottobre 2012, archiviate con numero di protocollo 94036, pubblicato integralmente da Malta Today) si è trasformato in un boomerang. Non tornano troppi dettagli: l’assessment di un’indagine così delicata si è esaurito dal 24 al 25 maggio 2012, quando la media comporta oltre un mese e mezzo; il rispetto pieno delle garanzie degli «imputati» non appare in cima alle preoccupazioni dell’Olaf; infine l’inchiesta, di fatto, non ha acclarato transazioni di denaro né il favoreggiamento del commissario maltese nell’ambito della Commissione.

Catherine Pignon, magistrato francese, siede nel tavolo del Supervisory Committee, l’ente di controllo dell’Olaf. Sul «caso Dalli» si esprime così: «La diretta partecipazione di Kessler nell’ascolto dei testimoni impatta con il rispetto dei principi di imparzialità delle investigazioni». E così la vicenda rimbalza fuori dal recinto degli addetti ai lavori e pesa come un macigno direttamente sul governo europeo: José Manuel Barroso spera di guadagnare tempo fino alle elezioni di maggio, anche grazie ai buoni uffici di premier altrettanto interessati a insabbiare la vicenda. Ma l’operazione potrebbe non riuscire.

Fuoco incrociato

A giugno 2013 il presidente dei Popolari europei Joseph Daul era stato perentorio: «Kessler non può più rimanere nella sua posizione». Del resto, il magistrato italiano era già entrato nello schermo radar della deputata Cdu Inge Grässle «sconvolta» per le rivelazioni sulla gestione Kessler del «Dalligate». Si aggiungono le bordate mediatiche: da Der Spiegel, che chiede esplicitamente la testa di Kessler, alla Süddeutsche Zeitung che in ottobre registrava l’inquietante testimonianza del funzionario greco Giorgos Boutos, «interrogato» dall’Olaf per le sue rivelazioni su «nepotismo e salari gonfiati» all’Organization for Vocation Education and Training, istituto greco beneficiario di finanziamenti Ue. Denunce circostanziate quanto inequivocabili: dall’incredibile monte lavorativo degli istruttori (225 ore al mese…) ai 610 euro all’ora pagati agli insegnanti. Malversazioni per 6 milioni di euro, che l’Olaf di Kessler ha volutamente e ripetutamente ignorato.

Poi, c’è il «fuoco amico» del socialdemocratico austriaco Herbert Bösch pronto a vestire fino in fondo i panni del comitato di sorveglianza dell’Antifrode europea. A Bruxelles, la traduzione in cuffia delle sue dichiarazioni restituisce «un potere andato fuori controllo», insieme ai «metodi discutibili» e alla «violazione di diritti umani» nella gestione Kessler del «caso Dalli».

L’audio dei Verdi

Ben prima delle denunce dei Popolari (che però non sfiorano Barroso), del «gioco del silenzio» dei socialdemocratici (salvo rare eccezioni), una registrazione-audio dell’eurodeputato dei Verdi José Bové accende la miccia della santabarbara politica. A marzo 2013 Johan Gabrielsson dipendente dell’industria del tabacco Swedish Match aveva rivelato che l’incontro tra Dalli e la lobbista Gayle Kimberly (tra i motivi del dimissionamento del commissario maltese) non era mai avvenuto. Di più: Gabrielsson confessa di aver ricevuto «pressioni» da parte dell’Olaf per «nascondere» ciò che sapeva.

La conversazione (pubblicata dal portale New Europe) ora è di pubblico dominio. Anche la conferenza stampa dei Verdi di fine maggio, con Bové e il fiammingo Bart Staes che formalizzano la richiesta di dimissioni per Kessler elencando la serie di «problemi strutturali» all’interno dell’Olaf. L’opinione dei due eurodeputati, alla luce della documentazione raccolta, non lascia margini di equivoco: «È chiaro da tempo che la condotta di Giovanni Kessler nell’investigazione su John Dalli è in disaccordo con le procedure stabilite e le norme legali. Per questo motivo abbiamo chiesto le sue dimissioni, registrando il crescente supporto di altri eurodeputati verso questa soluzione. La posizione di Kessler è insostenibile. E più questa saga andrà avanti, maggiore sarà il danno per l’intera Unione europea».

La famiglia Kessler

A 1.013 chilometri di distanza da Bruxelles, Kessler è sinonimo del sistema di potere trentino. Quello incarnato da Bruno (1924-1991), prima alla guida della Provincia autonoma, poi parlamentare fino a diventare sottosegretario all’Interno nel governo Cossiga. Incarnava la Democrazia Cristiana che dall’epoca del doroteo Flaminio Piccoli arriva fino ai giorni nostri con Lorenzo Dallai.

Da sempre a Trento la famiglia Kessler si trova agli incroci che contano: Lorenzo, figlio di Bruno, vestiva i panni di «signore del project financing»: ha gestito con alterne fortune un parcheggio a Cortina (13 milioni di euro), il porto turistico di Torri del Benaco (altri 13 milioni), il centro cottura con asilo nido (5 milioni) e l’Acquapark di Cassola (12 milioni). Senza dimenticare il mega-progetto del nuovo ospedale di Trento (congelato da una sentenza del Tar) e la partecipazione alla «spedizione istituzionale» a Vladimir in Russia che compare nelle inchieste della magistratura.

Giovanni, invece, ha un profilo istituzionale fra magistratura e politica. E brilla il matrimonio con Daria De Pretis, 57 anni, avvocato e ordinario di Diritto amministrativo: a Bologna allieva di Fabio Roversi Monaco, da un anno magnifica rettrice dell’Università di Trento (fondata da Bruno Kessler). La coppia è connessa con la Curia attraverso Istituto Atestino di Sviluppo Spa: la «cassaforte» delle ricchezze della Diocesi che nel 2010 ha versato 230 mila euro di Ici nelle casse del Comune per 600 immobili.

Ma a Trento il conflitto d’interesse ad ampio spettro è ormai all’ordine del giorno.