E’ stata battezzata “sentenza anti-Rom” e segna un nuovo piccolo passo indietro nella costruzione comunitaria, con una decisione a favore della preferenza nazionale, che limita l’eguaglianza tra cittadini europei. La Corte di giustizia europea, sollecitata l’anno scorso dal tribunale degli affari sociali di Leipzig, ha giudicato che “gli stati membri possono, a certe condizioni, rifiutare gli aiuti sociali ai disoccupati di altri stati membri residenti” e questo “senza contraddire il principio della libera circolazione delle persone”, una delle “quattro libertà” che fondano la Ue (assieme alla libera circolazione di capitali, merci e servizi). In altri termini, la Corte di giustizia di pronuncia contro quello che Londra, ma anche Berlino, hanno definito “turismo sociale”. In Gran Bretagna gli aiuti sociali ai cittadini comunitari sono sempre più contestati e David Cameron, per correre dietro all’Ukip, promette ora di bloccare l’immigrazione dei cittadini Ue senza lavoro. In Europa, la polemica gonfia soprattutto dall’entrata della Bulgaria e della Romania nel 2007. In molti paesi, c’è stata una “moratoria” di 7 anni sulla libera circolazione dei cittadini di questi due paesi, ma la sospensione è caduta il 1° gennaio di quest’anno. Nei fatti non c’è stata nessuna “invasione”, ma con l’estrema destra che cresce i governi in carica hanno trovato un facile bersaglio, in mancanza di un’armonizzazione del welfare nella Ue. Anche l’Italia, che peraltro propone ai propri cittadini di andare a cercare lavoro all’estero, è d’accordo a Bruxelles con le proposte britanniche di rendere più severe le regole per le domande delle prestazioni sociali. Secondo un rapporto della Commissione, meno del 5% dei cittadini Ue disoccupati e residenti in un paese diverso da quello di nascita beneficiano di prestazioni sociali in un paese terzo.

Il caso preso in considerazione dalla Corte è quello di una giovane donna rumena, Elisabeta Dano, che dal 2010 vive a Leipzig a casa della sorella con il figlio Florin. Elisabeta Dano riceve un minimo per vivere dai servizi sociali tedeschi, ma appena ha chiesto di avere un assegno speciale di sussistenza, cioè gli stessi diritti dei cittadini locali, il Jobcenter si è rivolto al tribunale. La Corte di giustizia rimanda alla Direttiva “cittadino della Ue” del 2004. Stipula che uno stato non è obbligato ad accordare una prestazione di assistenza sociale nei primi tre mesi di soggiorno. Per i soggiorni tra i 3 mesi e i cinque anni il diritto di residenza viene accordato alle persone “economicamente inattive” solo se possono mantenersi. La Germania, per esempio, richiede un minimo di 700 euro di reddito al mese per uno straniero “economicamente inattivo”. In Francia, per avere accesso all’Rsa (reddito minimo di solidarietà), bisogna avere almeno 3 anni di residenza nel paese. Il Belgio ha già espulso dei cittadini comunitari disoccupati, sospettati di “turismo sociale”. In Germania un anno fa i sindaci di 16 città, tra cui Colonia e Dortmund, di fronte a un aumento di presenze di disoccupati dei pasi Ue hanno chiesto “aiuto” allo stato, che ha allo studio un progetto per limitare il soggiorno di chi cerca lavoro in Germania a 3 mesi. In caso non lo trovi, deve andarsene. Del resto, le prestazioni previste dalla riforma Hartz IV in genere non vengono concesse ai disoccupati comunitari, anche se i tribunali degli affari sociali sono divisi su questo punto. La sentenza della Corte di giustizia è stata applaudita dalla maggioranza dei governi europei, anche se in Francia c’è un certo imbarazzo dei socialisti al governo. “La libertà di circolazione non è un diritto assoluto”, si è felicitato Duncan Smith, sottosegretario britannico al Lavoro.