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Ue a due velocità: l’Italia scende in pista, ma rischia in tutti i casi

Ue a due velocità: l’Italia scende in pista, ma rischia in tutti i casiRomano Prodi – LaPresse

La ricetta di Berlino Prodi: «Dalla cancelliera una prima risposta a Trump e Marine Le Pen». Lo spread vola a 200 punti

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 7 febbraio 2017

La corsa dello spread non si ferma, ieri ha raggiunto quota 200 e non succedeva dal 2014: «La colpa – bisbigliano gli esperti – è anche dell’attacco concentrico Trump-Le Pen all’Europa». Ma Angela Merkel ha già pronta la ricetta. Non la discute nessuno, però piace a tutti.

Pare incredibile, ma la politica italiana, sempre così ansiosa di commentare ogni bazzecola, resta afona di fronte a una prospettiva comunque squassante come quella dell’Europa a due velocità. A voce fragorosa parla solo Romano Prodi, uno dei veri padri fondatori dell’«Europa reale», cioè di una Ue ridotta alla moneta unica, e non nasconde l’entusiasmo. Ecco finalmente «una prima risposta a Trump e Marine Le Pen». Ecco «una Germania che sembra cominciare ad assumersi quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare».

Il professore ammette di sfuggita che il progetto non è precisamente quello che auspicava lui: «Certo, io avrei voluto un’Europa che si realizzasse in modo veloce e lineare, una specie di discesa libera mentre adesso dovremo andare avanti con un complicato slalom». E’ l’ammissione di un fallimento, ma per accorgersene ci vuole la lente d’ingrandimento. Non che gli sfugga l’esistenza di qualche rischio: «L’Europa a due velocità non è e non deve diventare un’Europa di prima e seconda classe. Soprattutto non un’Europa in cui i passeggeri della prima classe decidono chi deve stare in seconda».

Il messaggio filtra tra le righe ma è chiaro: l’Italia deve fare il possibile, il che si traduce con «dovrà accettare ogni sacrificio», pur di montare in quei vagoni di prima classe in cui non è affatto certo sia desiderata. Giulio Tremonti, che al contrario di Prodi considera pessima la strategia di Merkel, è convinto che «i tedeschi non ci vogliano», ed è probabile che almeno in parte abbia ragione. Il governo, peraltro, non si era certo attardato aspettando che il padre fondatore dell’Ulivo desse la linea. Aveva già tripudiato con Gentiloni,«questo è l’orizzonte su cui lavorare», rivendicando anzi la primogenitura della proposta «ora condivisa anche dalla cancelliera tedesca», come specifica gongolante il sottosegretario agli Esteri con delega all’Europa Sandro Gozi. Casomai l’imperativo non fosse stato percepito in tutta la sua assoluta categoricità, ci ha pensato nei giorni scorsi un altro ex premier, Enrico Letta: «Giusta la mossa di Berlino, via le zavorre!». Ma l’Italia «deve stare nel convoglio veloce». Decisamente più sincero del Prodi che tra i due convogli prevede che non ci saranno grandi differenze.

Sembra di essere tornati agli anni ’90, i tempi della grande sfida per entrare subito nella moneta unica come se si trattasse di un’impresa ginnica, senza che nessuno reputasse necessario e opportuno spiegare quali sarebbero stati i costi dell’ambìto ingresso, e cosa significasse oltre la superficialità dell’orgoglio nazionale. E anche adesso, a una ventina d’anni di distanza, Stefano Fassina è quasi l’unico a scostarsi dal coro. Sull’Huffpost spiega nel dettaglio perché, a suo parere, «accelerare l’integrazione economica e politica senza una radicale correzione di rotta implica anticipare lo scontro con l’iceberg della sofferenza economica e sociale», proprio quando «l’eurozona è sulla rotta del Titanic». Per l’Italia quella rotta significa «consegnarsi al soffocamento economico e sociale e alla completa colonizzazione politica, vuol dire continuare a contraddire i princìpi di fondo della nostra Costituzione».

La realtà, come tutti sanno ma nessuno dice, è che la scelta che Merkel vuole far ratificare a Roma il 25 marzo comporta comunque rischi e prezzi molto alti per l’Italia. E’ probabile che la Germania non creerà veri ostacoli alla marcia di Prodi e Gentiloni, dal momento che, proprio come negli anni ’90, un’Italia fuori da quella che sarà la «nuova» moneta unica di serie A creerebbe troppi problemi in termini di concorrenza. Però «stare al passo dei Paesi più virtuosi», come scriveva ieri l’Unità, non sarà indolore, e d’altra parte non lo sarebbe neppure l’opzione opposta, che una parte dell’establishment tedesco preferirebbe.
Qualche assaggio lo si avrà quando l’Europa esprimerà il suo verdetto sulla risposta italiana alla richiesta di manovra aggiuntiva. Muoversi in maniera più trasparente di quanto non sia stato fatto al momento dell’ingresso nella moneta unica sarebbe doveroso.

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