L’Ucraina a sole due settimane dal voto delle presidenziali è piombata in un vero e proprio caos. E a farla da padrone sono ancora le organizzazioni neofasciste: non avendo i loro candidati la minima possibilità di andare al ballottaggio, cercano in tutti i modi di condizionare i candidati più in vista.

La scorsa settimana grazie a un’inchiesta giornalistica è emerso il legame tra l’organizzazione squadristica S14 macchiatasi negli ultimi mesi di pogrom contro la popolazione rom, assalti alle manifestazioni femministe e stupri, con i servizi segreti ucraini. Il gruppo, che sta ora violentemente contestando i comizi di Yulia Timoshenko, ex madrina della rivoluzione arancione e seconda nei sondaggi pre-elettorali, sarebbe direttamente a libro-paga dei servizi di sicurezza. I giornalisti ucraini hanno infatti scoperto che le targhe delle auto usate dagli S14 sono intestate all’intelligence.

Qualche giorno dopo è giunta addirittura la conferma sulla veridicità delle rivelazioni da parte del ministro degli interni Arsan Avakov. «Sorprendentemente siamo dovuti giungere alla conclusione che esiste una collaborazione tra i servizi di sicurezza e i radicali dell’ultradestra di S14» ha dichiarato il ministro. Uno sgambetto verso il presidente uscente Poroshenko, accusato di fatto di usare squadristi contro la rivale. Avakov ormai sganciatosi completamente dal suo padre-padrone, lo ha accusato inoltre di «stare acquistando voti nelle grandi città».

Timoshenko, da parte sua, intende giocare lo stesso tipo di gioco. Mentre il giornale Strana accusa da tempo la candidata di essere giunta ad accordarsi per il ballottaggio con Nazkorps, una formazione neonazista legata al battaglione Azov, vuole il caso che proprio quest’ultimo gruppo ha inteso costruire a pochi giorni dal voto, una campagna di denuncia contro Poroshenko accusato di «aver portato corruzione nel potere giudiziario».

Ormai non c’è comizio di Poroshenko che non venga violentemente contestato dai Nazkorps. Questi ultimi, dopo aver tenuto piazza Maidan in mano per tutto il sabato scorso in migliaia, hanno contestato il giorno successivo il presidente persino nella «sua» Kiev. Ieri poi, in pieno giorno, è stata gettata una bomba all’interno del negozio della Roshen (l’azienda dolciaria di Poroshenko ndr.) che secondo il Kyiv Post «non ha prodotto solo casualmente delle vittime».

Il clima che si respira in Ucraina ha iniziato a provocare qualche timore persino negli Usa. Il 14 marzo il Dipartimento di Stato ha pubblicato un documento sui neofascisti ucraini in cui afferma che «i membri di gruppi nazionalisti diffusori di odio come S14 e Nazkorps hanno attaccato avvocati, giornalisti, membri delle minoranze nazionali, persone Lgbt+, godendo del sostegno delle autorità». Denunce che stanno mettendo ancora di più il vento in poppa al candidato populista Vladimir Zelensky che sin dall’inizio della campagna ha sostenuto la necessità di mettere fuorilegge le bande di estrema destra. Intanto ieri, in occasione del quinto anniversario dell’unificazione/annessione della Crimea alla Russia, Putin è volato a Simferopol per partecipare alle celebrazioni organizzate dalle autorità della penisola.

«Noi resteremo per sempre insieme!», ha urlato il presidente davanti a 30mila cittadini nella piazza principale della capitale. E in chiave elettorale ha mandato la quasi esplicita richiesta al popolo ucraino di liberarsi di Poroshenko: «Il popolo russo e quello ucraino non hanno mai litigato e non litigano neppure ora. Semplicemente non ci intendiamo con l’attuale leadership ucraina» ha concluso Putin.