Se c’è un paese in cui esiste un legame strettissimo tra pandemia e debito questo è l’Ucraina. Il corona virus sembra per ora sotto controllo: a ieri i casi accertati erano 1500 con 45 decessi. Secondo il governo Zelensky ciò sarebbe il frutto di un lockdown realizzato tempestivamente e con rigore. Il rigore effettivamente è stato assoluto.

Dal 18 marzo è stato chiuso tutto. Chiuse le aziende, niente mezzi pubblici compresa la metrò di Kiev, chiuse le rimesse degli autobus e le stazioni ferroviarie. E per chi infrange la quarantena ci sono multe che partono dai 500 euro in paese in cui il reddito medio mensile è di 200. Tutto bene quindi? Non proprio.

L’azione delle autorità è stata particolarmente stringente in relazione alle temute conseguenze della diffusione del virus in un paese totalmente impreparato ad affrontarlo. Se si fuoriesce dalla capitale le strutture sanitarie sono in condizioni disastrose. Lydia, caposala al policlinico di Chernigov ha dichiara che «non abbiamo neppure un box di rianimazione e il personale non è stato dotato neppure di mascherine e guanti di lattice. L’ospedale non è stato disinfettato».

Quanti i casi: «difficile dirlo se no si fanno i tamponi…» sostiene l’infermiera. Il problema come sempre sono l’attendibilità dei dati in un paese dove, secondo il ministero della sanità, sono stati eseguiti poco più di 1500 tamponi. Le conseguenze di un’emergenza pandemica nel paese sarebbero devastanti soprattutto viste le condizioni di vita dei cittadini ucraini.Secondo i dati forniti dalla banca mondiale qualche mese fa l’aspettativa media di vita stagna a 71,4 anni, la popolazione continua a ridursi (41,5 milioni nel 2019, 10 milioni persi dai tempi dell’Urss) e un tasso di mortalità del 14/1000.

In un quadro simile, segnato ancora da molte produzioni inquinanti e nocive alla salute come l’estrazione di carbone e le acciaierie, è del tutto chiaro perché si stia facendo di tutto per frenare il contagio. Al prezzo persino di impedire il rientro dei migranti che a causa della crisi stanno perdendo il posto di lavoro. Sono un milione e mezzo in Polonia e 3 milioni in Russia, ma la cortina di ferro innalzata dal Tridente impedisce dal 18 marzo a chiunque di rientrare nel paese.

Il cinismo delle classi dirigenti ucraine si è palesato la scorsa settimana quando il ministro della sanità Ilya Yemets è stato costretto a dimettersi dopo aver affermato che «spiace a dirlo ma tutti i pensionati moriranno. Calcoliamo quanto dobbiamo allocare finanziariamente per le persone viventi, non per i cadaveri». Il lockdown di qualsiasi attività economica ha forse bloccato il virus ma rischia di far giungere la popolazione alla fine della crisi sanitaria in una situazione disperata.

La scorsa settimana, un portavoce del governo ha dichiarato che, a seguito del coronavirus, il Pil del paese potrebbe scendere del 4% e l’inflazione raggiungere l’8,7%. Tra coloro che hanno perso il loro reddito a causa della quarantena, il 45% ha abbastanza soldi per vivere fino alla fine di aprile ma solo il 16% ha dichiarato di essere in grado di poter sopravvivere per 3 mesi. Per questo Zelensky attende ancora il versamento di 1 miliardo di euro dal Fmi che farebbero dare un’altra boccata di ossigeno all’economia nazionale.

Pochissimi invece i dati che provengono dal Donbass controllato dalle milizie filorusse delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. Fino a pochi giorni fa le autorità negavano l’esistenza anche di un solo caso di malattia ma i servizi segreti ucraini insistono ad affermare che i casi sarebbero comunque centinaia e i morti una decina.