In una situazione di guerra come quella che si sta vivendo in Ucraina, accadono anche eventi non previsti, almeno dai media. Ieri a Donetsk, mentre caccia dell’esercito di Kiev sorvolavano i cieli e la «Repubblica popolare» annunciava il coprifuoco dalle 20 alle 6 del mattino (la misura è stata annunciata nel tardo pomeriggio di martedì, ma è stata applicata solo ieri), in piazza Lenin arrivavano i minatori della città.

In un primo momento le agenzie avevano ricordato la loro partecipazione a manifestazioni in favore di Kiev, indotti dal loro padrone, l’oligarca Akhmetov, pronto a schierarsi con il governo uscito dalla battaglia di Majdan. in un secondo momento si è pensato ad un semplice corte di protesta di natura sindacale. Invece e infine, i minatori hanno tenuto a precisare la motivazione della loro presenza nella piazza: il loro scopo era quello di condannare «la punitiva operazione militare delle forze ucraine». Offensiva che avrebbe già creato cento morti nelle regioni orientali, portando la tensione a salire verso quello che appare sempre più come un punto di non ritorno.

E a Donetsk, anche la sede dello Sbu – i servizi segreti ucraini, sarebbe occupata dai ribelli. Ieri è giunta la notizia di altre sparatorie che si starebbero verificando in una strada parallela, Artyom street, in quella che è apparsa come un’offensiva delle forze ucraine nel tentativo di sfondare il «fronte nord della città».

Fronti aperti, non solo a Donetsk, perché ieri è toccato alla popolazione di Sloviansk, tremare sotto i colpi dei mortai dell’esercito ucraino, supportati dai paramilitari della Guardia nazionale, composta da quei settori di estrema destra che, se hanno raccolto ben poco nella corsa elettorale, solo l’1 percento, rappresentano pur sempre una forza reale, in grado di supportare le attività militari di Kiev nelle regioni orientali. Rispetto a ieri è cambiato poco: l’offensiva prosegue, Poroshenko, il neo presidente ucraino, ha benedetto la lotta ai ribelli «terroristi», dando l’ok agli attacchi che hanno portato a nuovi feriti a Sloviansk, dove le persone cominciano a essere fortemente preoccupati circa la loro sorte.

A Lugansk, intanto, nella autoproclamata Repubblica, sono state indette delle elezioni parlamentari a settembre, mentre l’Osce ha ufficializzato di aver perso i contatti con il suo team nell’est del paese e le autorità della «Repubblica popolare di Donetsk» hanno specificato di non saperne nulla.

E a proposito di voci diffuse nei giorni scorsi, ieri il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha smentito ufficialmente la presenza di unità militari cecene a fianco dei separatisti filorussi nell’Ucraina dell’est, in particolare a Donetsk, nel battaglione Vostok. L’ipotesi era stata denunciata sia dai media stranieri sia da fonti ucraine. «Dichiaro ufficialmente che questo non corrisponde alla verità», si legge sul suo account Instagram. «La Cecenia è una entità della Russia e, in linea con la costituzione russa, non ha forze armate», ha spiegato il capo della repubblica cecena, che dispone comunque di circa 500 guardie del corpo e di varie migliaia di uomini armati di varie strutture dipendenti dal ministero dell’interno locale. «Se qualche ceceno è nell’area del conflitto, questo è affar suo.

Ci sono tre milioni di ceceni, e due terzi di loro vive all’estero, anche in Occidente. Non possiamo conoscere chi tra loro è lì», ha aggiunto, a confermare come sia da una parte, sia dall’altro, siano arrivati in soccorso stranieri (come confermano le morti, tanto a Majdan, quanto nell’est del paese). Nei giorni scorsi per altro, Kadyrov ha svolto un ruolo di mediatore nella liberazione di Marat Saichenko e Oleg Sidyakin, due giornalisti di Lifenews, sito considerato vicino ai servizi segreti russi: entrambi erano stati fermati dall’esercito ucraino vicino a Kramatorsk, nella regione di Donetsk, poi erano stati portati per un interrogatorio a Kiev, dove erano stati accusati di terrorismo. Infine, mentre Hollande invita Poroshenko alle celebrazioni per lo sbarco in Normandia, Putin ha dato istruzioni al suo governo di negoziare nuove forniture di gas all’Ucraina se Kiev inizierà a pagare i propri debiti arrestati.

Lo ha reso noto lo stesso presidente russo, durante una dichiarazione trasmessa dalla televisione durante una riunione del governo, sottolineando la disponibilità che Mosca sta dimostrando.