Altri 30 morti tra le forze filorusse, a seguito di un nuovo bombardamento di Kiev a est, e un altro giornalista morto. È l’ennesimo bollettino tragico di una guerra che va avanti da mesi, nonostante periodici tentativi di accordi e negoziati e che comincia a segnalare un numero sempre più ingenti di profughi: ieri Mosca ha denunciato che oltre 30mila ucraini avrebbero chiesto asilo politico in Russia.

Si tratta di un conflitto che ormai sembra impelagato in un testa a testa che può terminare solo con la sconfitta militare dell’avversario. Da una parte l’esercito nazionale di Kiev, dall’altro le bande dei ribelli dell’est, che se all’inizio potevano contare su un supporto russo, ora sembrano completamente abbandonate al proprio destino. Mosca insiste infatti sulla possibilità di arrivare ad un negoziato, per quanto il governo di Majdan continui ad accusare il Cremlino di sostenere l’est ribelle; secondo Kiev ieri un aereo cargo dell’esercito sarebbe stato abbattuto proprio dalla Russia, che a sua volta lamenta il rischio di ritrovarsi un conflitto alle porte di casa, dato il rischio che i raid colpiscano il proprio territorio nazionale.

Di sicuro si va avanti nel silenzio generale, nonostante ieri sia arrivata la notizia della morte di un altro giornalista, il quinto dall’inizio del conflitto. Si tratta di Serghei Dolgov, reporter di Mariupol sequestrato il 18 giugno scorso, e trovato morto vicino a Dnipropetrovsk (Ucraina centrale). Il ritrovamento del cadavere è stato annunciato su Facebook da Konstatin Dolgov, co-presidente dell’organizzazione separatista filorussa Fronte popolare Novorossia, secondo il quale dopo il rapimento il suo omonimo sarebbe stato torturato.

Era il direttore di un magazine filorusso e stava indagando sui crimini compiuti dall’esercito di Kiev. Un’altra morte di cui non parlerà nessuno, un’altra inchiesta di Kiev che verrà presumibilmente promessa e infine non mantenuta. E ieri Mosca ha tentato un’altra carta diplomatica, invitando gli osservatori dell’Osce ai checkpoint di Donetsk e di Gukovo, al confine russo-ucraino, «senza attendere il cessate il fuoco» e come «dimostrazione di buona volontà».