Non solo gli occhi del Cremlino sono puntati su Kiev e sul ballottaggio che deciderà domenica chi sarà il presidente ucraino per i prossimi 5 anni. Anche a Washington e nelle cancellerie dei paesi europei si osserva con attenzione a quello che succederà nel paese slavo. Gli americani non hanno mai nascosto il loro interesse per i destini dell’ex Stato sovietico.

Interessi geopolitici vista la volontà della Nato di ampliare la propria influenza a Est. Ma anche economici: alcuni comparti dell’industria bellica come l’aviazione restano di ottimo livello e le fertilissime «terre nere» potrebbero essere interessanti per i colossi statunitensi del settore agroalimentare. L’atteggiamento Usa verso il voto a Kiev è rimasto fino a poche settimane fa incerto. In un intervento pubblico a inizio campagna elettorale, l’ambasciatrice Usa Marie Yovanovitch ha accusato il presidente ucraino di «proteggere la corruzione nel sistema giudiziario».

L’attacco venne considerato un chiaro endorsment per Yulya Timoshenko, considerata a Washington la più credibile succeditrice allo screditato Poroshenko. Tuttavia l’ascesa di Zelensky ha fatto cambiare i piani della Casa bianca.

I diplomatici statunitensi non hanno perso tempo e hanno contattato il comico per saggiarne le qualità e i punti di vista. Ciò che preoccupa gli Usa è naturalmente l’apertura, seppur timida, che quest’ultimo vorrebbe fare a Putin sul Donbass. Per cui alla fine è stato deciso di tenere aperta l’opzione Poroshenko, curiosamente giustificata in chiave anti-populista. Il rappresentante Usa per i negoziati in Ucraina Kurt Volker ha dichiarato che «ora l’opinione pubblica ucraina si trova di fronte a una scelta. Vogliono qualcuno come Zelensky vada contro l’establishment e promette riforme radicali? O vogliono riconfermare qualcuno che forse è stato deludente per certi aspetti, ma ha fatto più riforme di chiunque altro in Ucraina negli ultimi 20 anni e ha resistito a Putin?»

Secondo il diplomatico americano gli ucraini si troveranno di fatto di fronte allo stessa dilemma che hanno avuto i francesi con lo scontro Macron-Le Pen per la conquista dell’Eliseo. Anche i paesi che ruotano intorno al cosiddetto «Gruppo di Visegrad» sono molto interessati alle evoluzioni della politica ucraina. In primo luogo la Polonia. Il governo polacco aveva sostenuto con entusiasmo la rivoluzione arancione a Kiev del 2004 e auspicato una più stretta collaborazione tra esercito ucraino e Nato.

Ma la riabilitazione del nazionalismo neofascista ucraino di Stepan Bandera da parte di Poroshenko ha raffreddato molto le relazioni tra i due paesi. Nel 2018 il parlamento polacco ha approvata la «Legge anti-Bandera» che punisce anche con il carcere chiunque esalti il movimento neofascista ucraino colpevole di aver massacrato 100mila civili polacchi durante l’ultimo conflitto mondiale. Di conserva si è fatta più intensa la campagna mediatica volta a sostenere il ritorno sotto la giurisdizione polacca dei territori sottrattigli dall’Urss (che comprendono città del calibro di Brest e L’vov) in seguito agli accordi Ribbentrop-Molotov del 1939 e integrati all’Ucraina.

Appetiti territoriali che si stanno diffondendo anche in Ungheria e in Romania. Orbán vorrebbe annettersi l’oblast ucraino della Transcarpazia abitato dalla minoranza magiara che fino al 1944 apparteneva all’Ungheria e la Romania vorrebbe rimettere le mani sulla Bucovina Settentrionale precedentemente all’interno dei propri confini prima venire occupata dall’Armata Rossa quasi ottant’anni fa.

Appetiti che potrebbero condurre alla disintegrazione dell’Ucraina.