Quando l’esercito è assente, i primi ad approfittarne sono i movimenti salafiti. Questi gruppi, strumentalizzati dai militari, sanno come innescare gravi episodi di settarismo: lo scontro sistematico e forzato tra musulmani e copti, che in realtà vivono da secoli in equilibrio e armonia in Egitto. Con la grave crisi politica, causata dal colpo di stato militare del 3 luglio scorso, i primi a pagarne le conseguenze sono stati i copti, soprattutto dove lo stato è completamente assente, come nel Sinai. Ieri, un sacerdote cristiano è stato ucciso da alcuni militanti islamici nella città di al-Arish, nel Sinai settentrionale. Il religioso 39enne è stato raggiunto per strada da uomini armati a bordo di una motocicletta, che gli hanno sparato contro e sono fuggiti. Giovedì scorso, 23 abitazioni di cristiani erano state date alle fiamme a Luxor, mentre si contavano due morti in scontri settari.

La storia si ripete all’infinito. Poche settimane prima delle rivolte del 2011, l’attentato alla cattedrale copta di Alessandria causò decine di vittime tra i cristiani e costò accuse gravissime di complicità nell’attacco terroristico all’allora ministro degli Interni Habib El-Adly. Subito dopo la rivolta del 25 gennaio 2011, tre efferati episodi di settarismo permisero all’esercito di tenere in vigore per mesi il coprifuoco e alla giunta militare di rimanere in carica oltre il necessario con il pretesto di riportare stabilità nel paese. E così a Embaba, Moqattam, Helwan, copti e musulmani, abituati a difendersi dai comportamenti sommari della polizia e ad aiutarsi a vicenda, si sono trovati gli uni contro gli altri e senza l’aiuto delle forze dell’ordine.

Questi episodi sono aggravati da annunci usuali di formazioni di forze jihadiste. In quest’occasione lo scopo non sarebbe la difesa della legge islamica (sharia) ma la protezione dell’autorità di Morsi. Primi fra tutti, il gruppo ansar al-Sharia, che vorrebbe combattere per evitare la destituzione dell’ormai ex presidente. Il gruppo ha minacciato militari, copti e sostenitori dell’ex regime di Hosni Mubarak nel Sinai.

Neppure questa è una novità. Le milizie islamiste radicali, vicine soprattutto ai movimenti salafiti estremisti, sono state agevolate dalle politiche di permissivismo dell’esercito. Primi fra tutti, di un’immensa galassia di formazioni, i seguaci di Abou Hazem Ismail, leader salafita, a cui si sono ispirati gli Hazimun, milizie radicali che hanno per mesi seminato terrore in alcuni quartieri occidentalizzati del Cairo e Alessandria.

Questi gruppi non sono controllati in alcun modo dai Fratelli musulmani, che hanno sempre ripetuto di continuare a manifestare pacificamente, anche dopo il colpo di stato militare. Nonostante gli arresti, la leadership della Fratellanza si è fin qui limitata a non riconoscere il nuovo presidente Mansour. Jihad al-Haddad, braccio destro del leader carismatico Khairat al-Shater, ha confermato ieri che nessun dialogo è possibile tra Fratelli musulmani e militari. Tuttavia la Guida suprema del movimento Mohamed Badie aveva parlato della possibile apertura al dialogo con tutte le forze politiche solo dopo il reintegro di Morsi. È vero infine che anche gli islamisti moderati hanno delle milizie, ma non fanno uso della violenza, si occupano spesso di assicurare il servizio di guardia nelle manifestazioni e di difendere figure del movimento in assenza o per attacchi violenti della polizia.