Corsa contro il tempo ieri sera al Cairo dove proseguivano i negoziati indiretti israelo-palestinesi per impedire una ripresa dell’offensiva “Margine Protettivo” e dei lanci di razzi alla mezzanotte, al termine della seconda tregua umanitaria di 72 ore. Per tutto il giorno si sono rincorse notizie di segno diverso, che davano per certo tutto e il contrario di tutto, dall’accordo per un cessate il fuoco permanente ormai fatto al fallimento totale del negoziato in Egitto. In serata, chiarendo come stavano realmente le cose, i media israeliani hanno riferito del dispiegamento di forze corazzate lungo le linee con la Striscia di Gaza e dell’allerta dato al sistema antimissile Iron Dome. In ogni caso l’offensiva israeliana, che ha già fatto circa 2000 morti palestinesi, continua ad uccidere anche quando sarebbe ferma. Ieri Simone Camilli, videoreporter italiano e collaboratore dell’agenzia americana Ap, è stato ucciso dalla potente esplosione di una granata di carro armato – e non di una bomba sganciata da un caccia F-16, come si era detto inizialmente – rimasta inesplosa sul terreno, assieme al suo traduttore Ali Abu Afash e a tre artificieri palestinesi: Taysir Hum, Hazem Abu Murad e Bilal Sultan. Ferite almeno altre quattro persone, tra le quali un fotografo sempre dell’Ap, Hatem Musa. Morti assurde, che hanno profondamente colpito la popolazione locale. Sono emersi ancora una volta i rischi che corrono i giornalisti locali – 15 dei quali, secondo i dati del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, il mese scorso hanno pagato con la vita la copertura dell’offensiva israeliana contro Gaza – ma anche gli stranieri, persino quelli molto esperti come Simone Camilli.

 

Le indagini delle autorità locali cercano di fare piena luce sull’accaduto. Testimoni parlano di più esplosioni avvenute in un ex campo di calcio a Beit Lahiya trasformato in un deposito di bombe e missili rimasti inesplosi sul terreno dopo essere stati sparati dalle forze armate israeliane nelle settimane passate su Gaza. Camilli si trovava in quel luogo per riprendere con la sua telecamera le operazione di disinnesco di un grosso ordigno. Non è chiaro se ad esplodere sia stata la granata di carro armato o una delle bombe costodite nel sito. In ogni caso per il reporter italiano e altre quattro persone non c’è stato scampo. E’ da escludere un’imprudenza di Camilli, molto esperto nonostante i suoi 35 anni, che aveva seguito altri conflitti in Medio Oriente dove viveva dal 2005, accumulando una grande esperienza sul campo. Non molte settimane fa era stato in Iraq per l’avanzata dei qaedisti dello Stato Islamico. Un bravo giornalista che sapeva sempre quello che faceva. La sua morte ha fatto rivivere agli italiani che lavorano o abitano nei Territori occupati, l’uccisione, 12 anni fa, a Ramallah, in Cisgiordania, del fotografo Raffaele Ciriello, colpito all’addome da una raffica sparata da un blindato israeliano. La salma di Simone Camilli sarà trasferita quanto prima in Italia. Il padre, un ex direttore di testate giornalistiche Rai, ora sindaco di Pitigliano (Grosseto) si è messo subito in viaggio per Tel Aviv e Gaza.

 

Ieri, subito dopo l’accaduto, da parte israeliana è stata avanzata la versione della “incapacità” palestinese di disinnescare ordigni tecnologicamente avanzati. L’agenzia dei coloni, Arutz 7, ha addirittura accusato Hamas di mettere di proposito a forte rischio la vita dei civili e dei giornalisti stranieri “per far aumentare il numero delle vittime”. Accuse respinte seccamente dai palestinesi che, da parte loro, parlano di “bombe-trappola”. Secondo il fratello di uno dei tre artificieri rimasti uccisi con Camilli e il giornalista palestinese, c’era una sorta di “trappola” nella bomba a Beit Lahiya. Ha descritto il fratello Najy Abu Murad come un artificiere professionista che già nei giorni scorsi aveva neutralizzato diversi ordigni e che procedeva sempre con grande cautela. La sua convinzione è che la bomba israeliana fosse stata programmata non per esplodere al momento dell’impatto ma dopo nella fase di disinnesco. Le operazioni di neutralizzazione della bomba peraltro erano iniziate nella prima mattinata quando l’ordigno era stato trasferito dalla zona di Sheikh Zayed. Nell campo di calcio usato come deposito delle bombe inesplose, erano stati neutralizzati altri ordigni rimasti sul terreno.

 

In serata a Gaza, già piegata sotto il peso di enormi distruzioni e di almeno 250 mila sfollati, è tornata l’angoscia. La popolazione appoggia la fermezza della delegazione palestinese nel condizionare un cessate il fuoco permanente alla revoca piena del blocco israeliano che dal 2006 soffoca Gaza. Allo stesso tempo spera che si arrivi a un accordo che impedisca la ripresa dell’offensiva israeliana. Speranza che ieri sera non si era ancora concretizzata e Gaza si è ritrovata di nuovo sul baratro, anche se dal Cairo arrivavano notizie di un accordo in due fasi: la prima, preliminare, con pochi punti per impedire bombardamenti e lanci di razzi; la seconda tra qualche mese per discutere dei valichi, della revoca totale del blocco, del porto e dell’aeroporto. Il governo Netanyahu non ha ottenuto il disarmo di Hamas e delle altre fazioni armate palestinesi e si sarebbe accontentato del “non riarmo”, attraverso il dispiegamento di forze dell’Anp di Abu Mazen ai valichi con Israele e l’Egitto al posto di quelle del movimento islamico. Hamas ha avuto promesse – ma solo quelle – che il blocco di Gaza sarà gradualmente revocato e che la questione Gaza sarà affrontata nella sua complessità in negoziati successivi. Una conclusione che spacca Hamas. L’ex premier di Gaza Ismail Haniyeh, ieri sera ha avvertito che la tregua ci sarà solo con la fine dell’assedio israeliano, parole rivolte evidentemente anche alla delegazione palestinese al Cairo.