Una collisione mortale tra il peschereccio carico di migranti e il cargo portoghese arrivato in suo soccorso. Una manovra sbagliata, provocata probabilmente anche dal fatto che lo scafista che si trovava al timone della carretta carica fino all’inverosimile di disperati era ubriaco. Sono questi, stando alle ricostruzioni fatte ai pubblici ministeri di Catania dai profughi sopravvissuti, gli ultimi e drammatici istanti che hanno preceduto la tragedia di domenica scorsa al largo delle coste libiche. Una manovra sbagliata, della quale secondo la procura siciliana non sarebbe responsabile il comandante del cargo portoghese King Jacob, resa più grave dallo sbandamento dell’imbarcazione provocato molto probabilmente dell’improvviso spostamento delle centinaia di uomini, donne e bambini chusi nella stiva e presi dal panicodopo il primo urto contro la fiancata del mercantile. Per loro non c’è stata alcuna possibilità di scampo. L’ultimo calcolo fatto dai pm catanesi porta a 845 il bilancio delle vittime, confermando così il naufragio di domenica come la più grave tragedia del Mediterraneo.

Sono stati i profughi sopravvissuti a indicare agli agenti di polizia i due presunti scafisti. Si tratta di un giovane tunisino di 27 anni, Mohammed Alì Malek, e del suo aiutante siriano, Mahmud Bikhit, di un anno più giovane. Dopo l’impatto con la grande barca portoghese i due hanno cercato di far perdere le loro tracce mischiandosi tra i profughi. Le loro fotografie, scattate a bordo della nave Gregoretti della Guardia costiera, li hanno però inchiodati. Una volta viste moti migranti non hanno infatti esitato un attimo a indicarli come l’equipaggio del barcone. «Sono loro», hanno detto senza alcuna esitazione agli agenti. I due scafisti sono stati fermati su provvedimento della procura di Catania, titolare delle indagini sul naufragio, e condotti alla casa circondariale Piazza Lanza. Il primo, Mohammed Alì Malek, è accusato di naufragio colposo, omicidio colposo plurimo e favoreggiamento all’immigrazione clandestina, mentre a Mahmud Bikhit, al momento è contestato il solo favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Il procuratore Giovanni Salvi, che coordina le indagini, ha escluso responsabilità del mercantile portoghese che, ha aggiunto, «ha doverosamente prestato soccorso e che non ha contribuito all’evento fatale».

I superstiti raccontano di essersi aggrappati ai cadaveri per scampare alla morte. Tra i sopravvissuti non ci sono né donne né bambini. Solo 28 uomini, i più forti o magari solo più fortunati. «Alle 2 di notte quando la Guardia costiera è giunta per prestare i soccorsi non c’era più alcuna traccia del barcone tranne alcuni detriti e chiazze di nafta», ha spiegato il comandante Gianluigi Bove. Solo altri due uomini, oltre quelli che si trovavano già sul mercantile sono stati salvati. Uno di loro è ricoverato all’ospedale Cannizzaro di Catania, altri quattro, tutti minorenni, – un eritreo, un somalo e due bengalesi – sono stati condotti in un casa d’accoglienza a Mascalucia, un piccolo paese alle pendici dell’Etna. I rimanenti diciotto sono stati accompagnati a bordo di un autobus, scortato da quattro macchine dei carabinieri, sino al centro richiedenti asilo Cara di Mineo. Tre di loro sono accompagnati dalla polizia in una struttura riservata per essere sentiti come testimoni. «Volevano imbarcare 1.200 persone, ci urlavano di sbrigarci e ci picchiavano per farci salire – ha raccontato agli inquirenti uno dei minori, Sai, 16 anni -. Alla fine era stracolmo e si sono fermati ad 800». Come Said anche Nssir si è salvato. Sono stati fortunati. Loro ce l’hanno fatta perché viaggiavano sul ponte del peschereccio. «Eravamo una trentina, non di più – racconta – gli altri erano tutti dentro, chiusi. Quando si è avvicinata la nave l’uomo che era al timone ha fatto una manovra sbagliata ed è andato a sbattere contro il mercantile. Noi ci siamo spostati di corsa verso la prua e la barca è affondata in cinque minuti». Secondo il giovane il comandante ha sbagliato per un motivo preciso: «Ha bevuto vino e fumato spinelli dalla partenza».

Quando c’è stato l’impatto Nassir è finito in mare ed è riuscito a salvarsi aggrappandosi ad un bidone. «Ho sentito le urla di aiuto di chi era stato chiuso nella stiva, siamo rimasti in mare mezzora, fino a quando dal mercantile ci hanno lanciato una fune e ci hanno salvato».