Ora Uber Italia cerca di scaricare la responsabilità del caporalato a cui sono stati sottoposti i rider che viaggiano per Milano con la sua scritta alle agenzie di pony express. Ma le responsabilità del colosso del food delivery sono troppo evidenti.
All’indomani del deposito del «fine indagini» con cui il pm di Milano Paolo Storari accusa 9 persone di concorso in caporalato, una nota di Uber Italia tenta di rimediare e promette di essersi già redenta. Lo fa in vista dell’udienza del 22 ottobre alla Sezione misure di prevenzione in cui cercherà di uscire dal commissariamento (ora portato avanti da Cesare Meroni) deciso dal tribunale di Milano a maggio.
«Negli ultimi mesi abbiamo lavorato a stretto contatto con l’amministratore giudiziario per rivedere e rafforzare ulteriormente i nostri processi – scrive in una nota Uber Italia – . Continueremo a collaborare e a combattere tutte le forme di intermediazione illegale».
Quest’ultimo passaggio cerca dunque di scaricare la colpa della «condizione degradante» dei rider sulle agenzie di intermediazione ufficialmente di pony express Frc e Flash Road City. Ma le indagini hanno dimostrato con grande accuratezza che i responsabili di Uber Italia conoscevano perfettamente i metodi di reclutamento e le condizioni di lavoro dei rider.
I migranti erano stati scientemente reclutati presso i Centri di accoglienza per richiedenti asilo di Milano. Persone provenienti «da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale» che avevano un permesso di soggiorno temporaneo nel 2019 – i decreti Salvini non erano potuti intervenire – e che avevano disperata necessità di lavorare. [do action=”citazione”]Io insistevo per avere subito il denaro che vedevo sul telefono ma da quel momento sono stato bloccato e non ho lavorato più[/do]

Sfruttando la loro assoluta ignoranza in fatto di leggi, diritti e contratti, le agenzie e Uber imponevano loro condizioni di lavoro peggiori rispetto a quelle previste agli altri ciclofattorini. Come certificato nelle indagini si andava oltre i già miseri compensi previsti dagli algoritmi e fissati sulla app di Uber Italia. I rider vedevano sul telefono un importo che poi veniva puntualmente ridotto a tre euro l’ora indipendentemente dalle condizioni (orario, festività, condizioni meteo).
Dalle testimonianze qualche rider, resosi conto della truffa, ha provato a protestare: «Io insistevo per avere subito il denaro che vedevo sul telefono – ha raccontato un rider africano alla Guardia di finanza – ma da quel momento sono stato bloccato e non ho lavorato più».
Era addirittura prevista una penale di 50 centesimi se la percentuale di accettazione delle chiamate al rider era inferiore al 95%, un valore altissimo che costringeva ad accettare sempre una chiamata a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno: così si spiegano le tantissime ore lavorate a settimana, anche oltre 10 al giorno.
In più sono certificate le sottrazioni delle ritenute d’acconto al 20% mai versate e ben 5.154 euro di «mance da non pagare», trovate in un file nascosto.
A Milano intanto la scorsa settimana il Prefetto ha convocato i sindacati e Assodelivery – l’associazione che riunisce i colossi della food delivery – per lanciare un protocollo per la legalità nel settore dei rider. La convocazione però è arrivata a pochi giorni dalla firma del contratto-pirata fra Assodelivery e Ugl che fissa il cottimo per i rider. Così Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto al prefetto di escludere l’Ugl. Una nuova riunione è prevista la prossima settimana, nonostante i rapporti tra confederali e Assodelivery siano ai ferri corti.