Ubaldo Fadini è un passatore. Fa passare l’infinito e il divenire nelle parole. Per lui il pensiero è il tentativo di cogliere ciò che vi transita e che può turbare gli ordini del momento e i suoi indefessi portavoce. Bisogna perdersi, rannicchiarsi, balbettare, sperimentare. E poi riportarsi a casa. Da dove ripartire. Nell’incedere incerto, zoppicante, divagante, a zig zag Fadini ha allenato il passo errante del vagabondo. Nel modo discreto, sobrio, pragmatico che gli è proprio, con una valigetta di libri stretta in una mano. In fondo, il filosofo è un camminatore.

NELLA PRODUZIONE cospicua di Fadini il suo ultimo libro Disattivare. Un’idea di filosofia (ombre corte, pp. 147, euro 14) riavvolge i fili di un’avventura del pensiero piena di camminamenti sospesi, ondeggianti, intrecciati. Nella scrittura di questo testo c’è tutto un divagare, un ritornare, un citare. Sono esercizi, propriamente li definisce l’autore.

Di disattivazione del proprio Io. Perché si sa che chi scrive libri, o articoli come questo, soffre della più fatale delle malattie dell’individuo performativo, capitalista umano imprenditore di se stesso diciamo noi oggi. In altri tempi, avremmo detto: individuo borghese alla ricerca di un autore. Questo libro è tutta una disattivazione di quella volontà di potere che ci vuole mettere in vetrina o allo specchio per ripetere il raglio dell’asino: I-O, I-O. Tu ragli, mentre invece pensi di dire IO. Divenire asini.

Il testo è il risultato di un’alta forma di saggismo filosofico, o di letterarietà irriducibile all’industria editoriale e anche accademica. Fadini lavora sull’antropologia filosofica, nobile tradizione con salda collocazione. E, al suo interno, si disattiva. Il suo scopo è arrivare a produrre il frammento. Perché, scrive, «il compimento sta nell’interruzione», nella sospensione. Nella disattivazione dell’Io, appunto.

QUESTO è un altro episodio della grande filosofia critica che ha sperimentato in mille modi il tentativo di esiliarsi dalla tradizione che ha spacciato l’Ego. La fuga non può che essere collettiva. Perché quella di Fadini è in fondo una critica dell’economia della soggettività capitalistica. Il suo problema ritornante è: come si spezzano le catene della valorizzazione capitalistica. Un giorno, dovranno avere una fine. Noi la cerchiamo. Partiamo. Camminiamo.

Disattivare significa pensare di andarsene e non fermare l’incanto solo con le parole. Muoviamoci nel vero senso della parola. Anche quando tutto è sconfortante e ci diciamo: ma dove andiamo se torniamo sempre allo stesso punto? Per Fadini è proprio il tornare allo stesso punto che significa smontare da se stessi.

Lo smontaggio però non è un auto-boicottaggio. Significa invece allentare l’Io, esonerarsi, prendere le distanze, fare una rovesciata, guardare a testa in giù, o di traverso, sganciarsi per essere più attenti. Ed efficaci. Ci sono molti modelli da seguire. Ad esempio, l’essere esausto di cui parlava Gilles Deleuze. Oppure l’essere stanchi di Peter Handke. Nel cedere finalmente le ultime resistenze si può valorizzare ciò che resta celato, periferico, marginale, ai limiti dell’attenzione poco prima che l’ombra si perda nella notte.

L’ESSERE COMPAGNI significa condividere fino in fondo le stanchezze e i modi per essere esausti. Una forma di attesa attiva, pronti per un agire dimentico del microfascismo delle identità. Ci sono momenti che spingono a respirare insieme, a co-spirare ancora più epicamente. Vogliamo vivere un’escursione nel lontano sempre più vicino, in una vicinanza che si spinge oltre l’orizzonte. Scopriamo che la rivoluzione ricomincia dalla sua comica stanchezza. Allora disattiviamoci. Di nuovo, camminando.

La camminata è l’esercizio più bello della filosofia. Una forma dell’amore. Perché sono in molti ad amarsi, camminando e parlando. Si parla con sé, e tra sé. Ma anche con l’altro. E con le idee. O con le cose. O con il cane che ci fa la guida. Noi abbaiamo con lui. È tutto un parlamento con i viventi che si chiamano a convegno.

Con gli occhi che guardano le punte dei piedi che vanno e vengono. Nel corso della marcia si pensa, partendo sempre dal punto a metà dove ci si trova. Si imparano molte cose andando a zonzo.