Neanche il tempo di festeggiare la cittadinanza onoraria ricevuta venerdì dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che sulla Ong Sea-Eye è caduta una tegola pesante: la nuova nave è stata messa ieri in detenzione nel porto siciliano. Aveva da poco terminato la sua prima missione in cui ha soccorso 415 migranti. La notizia non sorprende visto che da maggio scorso i Port state control, con annessi fermi amministrativi, sono diventati un appuntamento fisso per le Ong del Mediterraneo, ma stavolta si registrano nuovi elementi controversi. 

«L’ispezione ha evidenziato diverse irregolarità di natura tecnica, tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi, ma anche delle stesse persone che sono state e che potrebbero, in futuro, essere recuperate a bordo, nel corso del servizio di assistenza svolto», scrive la Guardia costiera in un comunicato. Poi aggiunge: «considerato il tipo di attività che la nave regolarmente svolge, l’ispezione ha confermato che i mezzi collettivi di salvataggio della nave risultano sufficienti ad ospitare un numero massimo di 27 persone».

Le motivazioni sono grosso modo le stesse che hanno portato al fermo delle altre navi tedesche, eppure qualcosa non torna. Intanto per la Sea-Eye 4 il carattere «regolare» delle attività svolte, che è usato come giustificazione per considerare i migranti soccorsi non naufraghi ma passeggeri e così ricalcolare gli standard minimi di navigazione, si può prevedere ma non accertare: quella appena conclusa è stata la prima missione.

C’è poi un altro elemento importante: la Sea-Eye 4 batte bandiera tedesca, è certificata come «nave cargo» dall’ente di classificazione di Berlino «BG Verkehr», ma prima della partenza ha ricevuto dal prestigioso Registro navale italiano (Rina) la «notazione volontaria di classe rescue». Questa «è attribuita a navi che, in caso di necessità, hanno le sistemazioni e le dotazioni per soccorrere e accogliere a bordo dei naufraghi in sicurezza», fanno sapere dal Rina. Nella notazione della Sea-Eye 4 è indicato che il numero di persone che può soccorrere è 200 ma, specifica il Rina a il manifesto, «in situazioni di emergenza la legislazione internazionale prevede che la salvaguardia della vita umana sia prioritaria». Nel comunicato della Guardia costiera non c’è traccia di questo elemento.

Del resto, non rispondere alle richieste di soccorso delle persone in pericolo è un comportamento perseguibile penalmente. Le convenzioni internazionali che regolano il diritto del mare prevedono che la tutela degli esseri umani venga anteposta a qualsiasi altra ragione, siano i turni di lavoro dell’equipaggio o la protezione dell’ambiente marino. Il carattere obbligatorio del soccorso è stato ribadito venerdì dal comandante generale della Guardia costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, in un’intervista a Eurispes. Riferito ai migranti ha dichiarato: «queste persone che tentano di raggiungere le nostre coste quasi sempre lo fanno con mezzi inadeguati, e quando questi non sono più sufficienti e le persone sono in mare c’è solo un obbligo, che è quello di prestare soccorso, di salvare vite. È un obbligo di legge, ma è anche un obbligo morale».

Se le autorità volessero evitare il «sovraffollamento» sulle navi delle Ong potrebbero coordinare i trasbordi e assisterle nei soccorsi, come avveniva fino al 2017. O lanciare una missione search and rescue europea, come chiedono tutte le organizzazioni non governative. Oppure basterebbe evitare di bloccare le navi umanitarie in porto, così nella zona di ricerca e soccorso non ce ne sarebbe una per volta, come accade da più di un anno. Con la Sea-Eye 4 sono diventate cinque quelle fermate contemporaneamente dai provvedimenti della Guardia costiera italiana: la Open Arms, la Alan Kurdi (altra nave di Sea-Eye) e le Sea-Watch 3 e 4. A parte Open Arms, battono tutte bandiera tedesca.

«Ci hanno bloccato per aver salvato troppe vite – ha commentato a caldo Sea-Eye – Faremo di tutto per tornare presto in mare». «Il nostro capitano ha rispettato il dovere del soccorso in mare in modo esemplare. Ha assistito a casi di pericolo e realizzato un soccorso sicuro. Gli Stati dell’Unione Europea potrebbero imparare da questo», ha dichiarato Gorden Isler, presidente della Ong. Il capomissione di Mediterranea Luca Casarini ha puntato il dito contro il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini: «tecnicamente gli ordini al comando delle capitanerie di porto arrivano da lui, che dovrebbe essere tra i progressisti nella maggioranza che sostiene Draghi». Il 28 maggio scorso tutte le Ong hanno incontrato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese chiedendo al Viminale di assumere un ruolo di coordinamento con gli altri ministeri coinvolti nella questione delle navi, Salute per le quarantene e Infrastrutture per i blocchi.

Intanto di recente un fermo amministrativo è toccato anche a una nave commerciale italiana. La Grande Guinea della Grimaldi Lines è stata detenuta dalle autorità tedesche dal 26 maggio al 3 giugno dopo un Port state control ad Amburgo.«C’era una piccola cricca sulla fiancata e si è verificato uno sversamento di carburante nel porto. La nave è stata subito riparata. Contesteremo la misura perché essendo un problema accidentale e non gestionale non doveva giustificare la detenzione», fanno sapere dalla Grimaldi. 

La Grande Guinea è l’unica nave italiana sottoposta a fermo amministrativo negli ultimi 11 mesi, una delle otto bloccate in due anni nei 521 controlli realizzati nell’ambito del sistema del Memorandum di Parigi. La prima in un porto tedesco. Con una particolarità: le è stata contestata una sola carenza. Se questo episodio non restasse isolato potrebbe indicare un irrigidimento delle ispezioni delle autorità di Berlino, per le quali i continui fermi amministrativi delle navi Ong che battono bandiera tedesca stanno diventando un problema: gli standard di affidabilità di un Paese sono stabiliti anche in base al numero delle sue navi detenute in un determinato arco di tempo.