È un emendamento presentato (e approvato) dalla maggioranza, durante la seduta notturna per la conversione del decreto sul ponte Morandi, a spaccare il fronte delle istituzioni coinvolte nella ricostruzione dei terremoti del 2016. Il commissario, d’ora in poi, potrà emanare ordinanze senza la «previa intesa» dei presidenti delle regioni, gli basterà averli «sentiti».
Un passaggio che è più di un dettaglio e che cambia completamente le modalità di lavoro degli ultimi due anni. Ci saranno meno passaggi burocratici, è vero, ma il retrogusto della decisione presa da Movimento 5 Stelle e Lega è politico: non sfugge che le quattro regioni coinvolte (Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo) sono tutte governate dal Pd e la loro sostanziale esclusione dal processo decisionale appare come un tentativo di sbarrare la strada all’opposizione. Come esordio, per il nuovo commissario Pietro Farabollini (nominato all’inizio del mese), poteva andare meglio, perché adesso staranno tutti col fucile puntato su di lui, che dovrà districarsi tra le pressioni del governo e quelle che arrivano dai territori.

«Il governo del cambiamento – ha detto il deputato Antonio Zennaro dei 5 Stelle – con queste nuove norme mira a favorire una rapida ricostruzione eliminando tutti i lacci e i lacciuoli burocratici inseriti dall’ex governo del Pd».

I democratici, ovviamente, l’hanno presa malissimo. Stefania Pezzopane parla esplicitamente di «azione politica contro le quattro regioni oggetto degli eventi sismici» e persino dalle parti di Forza Italia e Fratelli d’Italia viene evocato il «colpo di mano» del governo.

Durissima la reazione delle regioni: ieri nessuno dei quattro governatori ha partecipato all’incontro con Farabollini. Una dichiarazione di aperta ostilità contro un governo che «ha tolto ai presidenti, subcommissari al terremoto, il potere di condivisione sulle ordinanze commissariali, declassando la loro funzione a potere consultivo». La scelta viene così definita «grave e miope», nonché foriera di sventure, perché «produrrà sicuramente contenziosi e ricorsi» a partire da quello alla Consulta che partirà proprio dagli stessi governatori.

È successo, in pratica, quello che non doveva succedere: il cratere del terremoto diventa un campo di battaglia, sulla pelle di migliaia di sfollati che stanno provando a sopravvivere nelle casette provvisorie e senza che ancora si veda l’ombra di un’idea per la ricostruzione vera e propria.

Lo scontro, a dirla tutta, era già nell’aria da alcuni giorni. La settimana scorsa, la Regione Marche ha denunciato che nella legge di bilancio per il 2019 non ci sono fondi per i contributi di autonoma sistemazione, le demolizioni e la messa in sicurezza del territorio. Soltanto due giorni fa la protezione civile ha annunciato lo stanziamento di altri 180 milioni di fondi europei per la gestione dello stato di emergenza, che durerà fino al prossimo 31 dicembre. In totale, nei due anni trascorsi dal sisma, il totale della spesa della Regione Marche con i fondi della protezione civile ammonta a 650 milioni di euro.