Un Pd inemendabile: «sbrindellato, disorientato e perfino imbastardito dall’azione dei franchi tiratori». Un Pd che solo nel primo anno è stato «il tentativo di migliorare non solo i programmi da proporre al Paese, ma la natura della nostra presenza nella società». Scommessa fallita, conclusa con le dimissioni di Veltroni, «anche in quel caso dovute ad una lettura sbagliata del voto del 2008 che fu, quello sì, una mezza vittoria, e fu interpretato invece come una sconfitta. Eppure ottenemmo quasi il 34 per cento dei voti, nel momento più alto della forza della destra. Non si fece un congresso per discutere apertamente la questione, ma si preferì mediare, concordare, coabitare, dando il via alla proliferazione delle correnti». Come quello di un genitore inflessibile che ama e insieme sgrida senza pietà il figlio adolescente e irresponsabile, sul Pd cala il nuovo scappellotto di Goffredo Bettini. Come in ogni momento di crisi nera del Pd – ed è già successo tre volte in sei anni di vita – Bettini dà alle stampe un libro (Carte Segrete, Aliberti, verrà presentato il 13 maggio al Teatro Eliseo di Roma, subito dopo sarà in libreria) che, alla vigilia della scelta del segretario, implacabilmente aggiorna la rassegna degli errori compiuti dal partito. Bettini, scrive il giornalista Carmine Fotia nell’introduzione «è un politico molto amato o molto contrastato a seconda dei punti vista, ed è stato indicato spesso come il Grande Manovratore, come quello che decide tutto. Era davvero così? E comunque oggi è ancora così?».

La domanda è utile per seguire il filo del ragionamento. Bettini, dopo l’horribilis[ 2008 ha lasciato ogni incarico e si è buenritirato a promuovere il cinema italiano in Asia. Però negli ultimi mesi, con discrezione, è tornato in campo da sostenitore della corsa di Ignazio Marino al Campidoglio. E proprio a favore del dibattito capitolino nel libro-intervista passa a revisione critica il cosiddetto Modello Roma.

Ma i fendenti più duri sono per il Pd, creatura irriducibile e ormai irriformabile. La tesi: il correntismo ha ammazzato il bambino nella culla, con il suo «ginepraio di correnti, cordate personali, trasformismi». Come già successo nel 2008, anche nel febbraio 2013 il gruppo dirigente Pd ha accuratamente evitato una seria analisi della sconfitta e si è imbarcato in un post voto titanico e velleitario: «Abbiamo dato la sensazione di voler dichiarare guerra al mondo, finendo per spararci sui piedi.Ci siamo creduti il dominus, su tutti i tavoli aperti: i Presidenti delle Camere, il governo, il Presidente della Repubblica e alla fine abbiamo dovuto ripiegare un po’ su tutto, in contraddizione palese con le precedenti solenni affermazioni». Bettini rende onore Bersani, esecra i suoi che gli hanno «lesto» voltato le spalle. Ma non risparmia critiche né al primo né agli altri. Quanto alla dura necessità del governo Letta, si augura che «resista almeno il tempo necessario per dare un po’ di fiato alla crescita, per alleviare le condizioni di vita delle famiglie e dei ceti più sofferenti, per moralizzare la politica e ridurre i privilegi di tutte le caste, per aprire maggiori possibilità di lavoro ai giovani, per cambiare la legge elettorale».

Ma ora, subito, bisogna rinnovare «il campo democratico» e rifondare di sana pianta «un inedito soggetto politico (…) in grado di mantenere un’autonomia dalla dimensione del governo». Stavolta è di più di un’analisi e un consiglio. Bettini stila i fondamentali della ripartenza: i valori («dare, attraverso la politica, la possibilità di una vita più autentica e piena alle persone»); le forme della partecipazione (restano le primarie, ma fondate sulla partecipazione degli iscritti, ma senza rinunciare a invitare«in forme autonome le associazioni e i movimenti») e gli ingranaggi per il funzionamento del nuovo soggetto («Le regole sui mandati debbono essere applicate senza esclusione». «Il finanziamento pubblico va abolito. Le indennità agli eletti vanno misurate alla media del livello europeo», un partito non liquido ma snello nel suo apparatcik. Il programma è servito.

Ma la notizia, a leggere bene, arriva nei titoli di coda: «È un viaggio che mi auguro, anche dopo la lezione del voto, si possa intraprendere. Per dare potere alle persone una nuova voglia di costruire dall’esperienza il loro racconto e la loro storia. Questo sarà il mio impegno di battaglia politica ed ideale verso il congresso del Pd e nei prossimi anni». Se non è l’annuncio di una candidatura al congresso, o della ricostituzione di un’area (culturale, per carità non chiamiamola corrente) poco manca. Ma poco manca anche al congresso. Per la fase di transizione, ieri Bettini al ’caminetto’ Pd Chiamparino o Fassino. Ma non al congresso, perché lì «servirà un segretario competitivo».