I Critical Raw Materials, le materie prime critiche, sono tutte quelle materie prime non energetiche che formano i pilastri su cui si fonda il comparto industriale moderno, necessarie per la produzione di una vasta gamma di prodotti e servizi utilizzati nella vita di tutti i giorni e per lo sviluppo delle importanti innovazioni tecnologiche più eco-sostenibili e competitive a livello globale.

Queste tecnologie richiedono una grande quantità di minerali e metalli, con una domanda prevista in continua crescita nei prossimi anni. Si stima, per esempio, che al 2030 l’Europa avrà bisogno di 18 volte più litio e 5 volte più cobalto rispetto ai livelli attuali per la fabbricazione di batterie per veicoli elettrici e stoccaggio di energia. Nel 2050 questo fabbisogno crescerà a 60 volte di più per il litio e 15 volte di più per il cobalto rispetto ai livelli attuali. Per il neodimio, già nel 2025 potrebbero servire 120 volte l’attuale domanda. Tali materie prime sono definite critiche perché sono sia di grande importanza per l’economia europea, sia soggette a un elevato rischio di approvvigionamento: la distribuzione non è omogenea ma limitata principalmente a paesi come Cina, Congo, Russia, Turchia, Sud Africa, dove sussistono pratiche lavorative insostenibili.

Una prima lista è stata è stata stilata dall’Ue nel 2011 e ne conteneva 14, l’ultimo aggiornamento è stato pubblicato nel 2020 e l’elenco è salito a 30. Sono per lo più metalli preziosi e terre rare: oltre a quelli già citati troviamo ferro, alluminio, rame, platino e poi palladio, tungsteno ( il metallo che fa vibrare gli smart phone), gallio e indio ( componenti dei Led) e si concentrano sostanzialmente nei piccoli RAEE, ovvero apparecchiature illuminanti e altro, come aspirapolvere, macchine per cucire, ferri da stiro, friggitrici, frullatori, computer, stampanti, fax, telefoni cellulari, videoregistratori, apparecchi radio, plafoniere.

Nel 2021 in Italia, secondo i dati del centro di coordinamento Raee, ne sono stati raccolte 72.130.077 tonnellate. Dal 2016 in Italia per liberarsi di questi piccoli RAEE non c’è bisogno di andare in discarica. A luglio 2016, infatti, è entrato in vigore il cosiddetto decreto Uno contro Zero. L’apparecchio fuori uso si può consegnare direttamente in negozio, senza effettuare alcun acquisto. L’Uno contro Zero è una possibilità limitata ai piccoli RAEE di una misura fino ai 25 centimetri. A distanza di 6 anni dall’introduzione della normativa, l’associazione Altroconsumo è andata a verificare il livello di applicazione, presentandosi in 82 punti vendita di 10 città all’interno di ipermercati e di grandi magazzini di elettrodomestici.

Provando a consegnare un tablet o uno smartphone usati, si è riscontrato come i negozianti non aiutino del tutto il cittadino a compiere il proprio dovere. Un negoziante su tre ha rifiutato il RAAE, una minoranza era disposta ad accettarlo ma a condizione di far acquistare un nuovo articolo, mentre un negoziante su cinque ha rifiutato il servizio. Insomma, il decreto sul ritiro dei rifiuti elettronici dai rivenditori è nella stragrande maggioranza dei casi non applicato, quando la quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche è in crescita, soprattutto a causa di tempi di obsolescenza tecnica sempre più ridotti. Questo fenomeno può inoltre generare problemi di gestione legati alla presenza di metalli e sostanze nocive che rappresentano un rischio per la salute.

«Una tonnellata di schede elettroniche da telefoni a fine vita contiene in media 276 g di oro, 345 g di argento, 132 kg di rame; se si considerano poi altri componenti, come magneti e antenne integrate ad esempio, l’elenco si allunga con le terre rare (quali ad esempio neodimio, praseodimio e disprosio) che possono raggiungere 2,7 kg per tonnellata di smartphone. Grazie alle tecnologie attuali è possibile riciclare oltre il 96% di questi dispositivi elettronici, recuperando quantità significative di metalli preziosi con gradi di purezza elevati». Lo dice Danilo Fontana, ricercatore Enea e responsabile del progetto Portent (in collaborazione con la Regione Lazio): i ricercatori pensano di riuscire a recuperare 2,7 kg di componenti da ogni tonnellata di schede di cellulari dismesse, attraverso processi innovativi basati sulla idrometallurgia. Un passo piccolo, anche se, come nel caso del progetto del Politecnico di Milano, c’è il rischio di entrare in conflitto con la normativa italiana sui rifiuti.