Il turismo di massa, di cui i diversi autori analizzano le fragilità che la pandemia ha solo portato in superficie, è al centro della raccolta di saggi Critica del turismo di Edizioni Grifo. «Vera e propria industria pesante ed estrattiva alla pari delle estrazioni petrolifere o delle acciaierie, il turismo di massa può rappresentare un disastro ecologico e sociale che uccide gli ambienti che lo fanno vivere (spiagge, montagne, città storiche) e genera disuguaglianze sociali ed economiche (precariato e sfruttamento dei lavoratori, sottrazione di abitazioni a uso residenziale, invivibilità dei centri urbani)», scrive nell’introduzione Alex Giuzio, giornalista specializzato in turismo marittimo e costiero e curatore del volume.

Il mantra del turismo petrolio d’Italia è «espressione di una logica che cerca nel rimedio semplice – e nell’uomo forte – la soluzione immediata a problemi complessi», focalizza nel saggio di apertura la ricercatrice e giornalista Sarah Gainsforth, che da tempo si occupa anche di pianificazione urbana, alloggio e gentrificazione: «La propaganda del turismo da una parte rimanda il confronto con la realtà, ovvero con quanto i buchi nella gestione del turismo in Italia alimentino ricchezza per pochi e disuguaglianze per molti, oltre che una percentuale consistente di economia sommersa. D’altra parte, questa retorica di fatto promuove un’idea di economia coloniale, dipendente da una domanda esterna». Il riferimento all’uomo forte non rimanda solo al diktat di un’offerta standardizzata che sembra guidare le amministrazioni che optano per «puntare sul turismo», ma anche in senso meno figurato a quel modello di vacanza balneare sullo stile della riviera romagnola che, ricorda ancora Giuzio, fu inaugurato da Mussolini e stenta ad affrancarsi dall’idea naif di modernità che il duce voleva diffondere. Per rispondere al comfort dei visitatori qui le spiagge sono state razionalizzate all’estremo e spogliate del loro contesto naturale per accogliere file di palazzi destinati ad essere vuoti la maggior parte dell’anno e che stanno provocando l’abbassamento del terreno proprio mentre le acque aumentano a causa del cambiamento climatico.

Un modello che ben inquadra come per «la persistente refrattarietà agli investimenti» sia «uno dei settori a più bassa produttività e a più basso valore aggiunto nel panorama produttivo italiano», scrive Francesco Eugenio Iannuzzi, ricercatore in Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università Ca’ Foscari di Venezia, riportando i dati sulle condizioni del lavoro stagionale, con circa il 50 per cento di contratti a tempo determinato o intermittente, orari antisociali, flessibilità estrema, lavoro nero, carico intenso e scarsa rappresentanza sindacale. Come racconta Nicola De Cilia, scrittore e insegnante, lo stesso avviene sulle montagne, dove il fragile territorio «deve difendersi da un turismo aggressivo, fortunatamente privo di fantasia» che concentra le proprie visite provocando abbandono o terre «obese».

Il passaggio del rifugio da presidio montano a ristorante di lusso d’alta quota racconta quanto il turismo sia determinante nell’espropriare l’identità dei territori proprio mentre se ne vende la tipicità. Lo dimostra una short-term city come Venezia o Firenze e Napoli, trascinate nel vortice della messa a valore del capitale urbanistico e simbolico, come spiegano Giacomo Maria Salerno, dottore di ricerca in Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica all’Università La Sapienza; Rodolfo Sacchettini, che si occupa di teatro contemporaneo, radio e letteratura del Novecento e Marcello Anselmo, storico, ricercatore e documentarista radiofonico. Turismo e velocità hanno annullato il fattore esperienziale trasformativo del viaggio, «per sbirciarne il folclore anestetizzato e innocuo, non per andarne a vedere fino in fondo le realtà disturbanti e interroganti», scrive Francesco Calamo-Specchia, docente universitario e scrittore. Un cambio culturale allora è forse possibile solo recuperando uno sguardo che è «insight, conoscenza profonda, sapienza, intuizione illuminante», con cui fermarsi e contemplare, finanche «il residuo mondo vero nascosto che si sfalda lentamente, che va finalmente in rovina in santa pace».