Una fiducia, con 173 Si e 108 No, a un governo che si è dimesso subito dopo. E un voto – con 166 Sì, 70 No e un astenuto – a scatola chiusa su una manovra sulla quale hanno pesato i voti dei verdiniani. Di questi 166, 13 del gruppo Ala hanno votato Renzi. È finito così un esecutivo che, per l’ultimo voto della sua storia, ha annullato il Senato. Proprio quello che avrebbe voluto fare con la riforma rifiutata dal No degli italiani nel referendum costituzionale di domenica scorsa. Il 7 dicembre è una data record per un ddl di bilancio che non ha recepito gli emendamenti (in partenza erano un migliaio) in arrivo dalla Camera. Da una manovra da 27 miliardi, il cui testo contiene 19 articoli, 335 interventi e 638 commi, suddivisi in 14 capitoli, sono rimasti fuori numerosi interventi che il governo si era impegnato a mantenere. Ufficialmente sono «congelati».

IL DDL POVERTÀ, ad esempio, approvato dalla Camera il 14 luglio 2016, all’esame della commissione Lavoro al Senato. Il provvedimento incrementa di 150 milioni il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, ma l’iter non è concluso. Stessa sorte per il rifinanziamento di 50 milioni del fondo per i danni ambientali dell’Ilva Sospesa la riforma delle banche popolari per cui si attende il pronunciamento della Consulta. Rimandata anche la decisione sulla stabilizzazione dei ricercatori precari dell’Istat in mobilitazione (a pagina 14 pubblichiamo una loro lettera). È saltata l’estensione degli eco-bonus per interventi sul fotovoltaico e sulla bonifica dell’amianto. Stessa sorte per l’accesso al credito d’imposta per gli incapienti per la riqualificazione energetica e prevenzione antisismica. Volatilizzate le norme per limitare il gioco d’azzardo legale negli esercizi commerciali. Ferma anche la ripartizione del fondo da tre miliardi per gli enti locali. L’Anci chiede di fermare i tagli al personale e alzare al 75% il turn over. Molte di queste misure potrebbero essere «ripescate» dal nuovo governo nel «milleproroghe» o con decreti ad hoc.

TRA I PROVVEDIMENTI RINVIATI per la caduta del governo la riforma della cittadinanza, approvata dalla Camera a metà ottobre del 2015, ora in commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama. È uno dei provvedimenti sui quali l’ex governo ha esitato di più. Gli interessati a questi provvedimento decisivo sarebbero almeno un milione di giovani. Dimenticata la «stepchild adoption» che ha messo seriamente in difficoltà Renzi al punto da stralciarla dal Ddl Cirinnà. Nelle secche è finita anche la legge sull’omofobia. La riforma del terzo settore è stata approvata, ma con ogni probabilità non saranno emanati i decreti attuativi della legge quadro. Capitolo lavoro: la fine del governo non ha risolto il nodo dei lavoratori dei call center. Capitolo pubblica amministrazione: dopo la bocciatura della Consulta di tre decreti delegati della riforma Madia per il mancato coordinamento con le regioni, la riforma è destinata ad arenarsi. A rischio il rinnovo del contratto degli statali che avrebbe bisogno di un atto di indirizzo. Il Ddl concorrenza è chiuso nei cassetti del Senato dopo il via libera della Camera.
LE COPERTURE vengono dagli aumenti permanenti di gettito e le entrate Iva (più di 8,5 miliardi), dalla revisione della spesa (2,6 miliardi). In totale sono 18,4 miliardi, ai quali dovrebbero aggiungersi entrate dall’extra deficit (2,3%). Buona parte della manovra copre la neutralizzazione dei 15 miliardi di euro dell’Iva. L’ultima manovra renziana sarà ricordata per la pensione con il mutuo Ape. Scatterà il primo maggio 2017, prevista l’Ape social a costo zero per disoccupati e disabili. Estesa «opzione donna» e la platea dei salvaguardati tra gli esodati (da 27 a 30 mila).