Tutto fa capire che finirà così: sarà introdotta la “presunzione di colpevolezza”. I sospetti saranno tutti colpevoli di violazione del copyright. E censurati. Poi, dopo – ma solo dopo – si proverà a dimostrare un’”eventuale innocenza”. Ma intanto censurati. Oscurati.

Sì, sul versante copyright le cose si mettono ancora peggio. Peggio di prima.

Prima è successo quello che sanno un po’ tutti: l’Europa ha varato nella primavera dell’anno scorso una direttiva sul “diritto d’autore” (la chiamano così, anche se sostanzialmente l’insieme di norme riguarda quasi esclusivamente i proprietari del copyright, chi ha comprato i diritti, non certo i musicisti, i filmaker, gli artisti, eccetera eccetera).

Direttiva che un forte movimento – in tutta Europa con la sola eccezione dell’Italia – ha provato a bloccare. Senza riuscirci.

Una direttiva varata al termine di tre anni di scontri durissimi fra le nuove Over The Top da una parte e dall’altra le vecchie oligarchie: gli editori, le major discografiche e cinematografiche. Scontro conclusosi con un compromesso che ha semplicemente ignorato i diritti degli utenti.

Fra le tante cose di quella direttiva, c’è l’articolo 17: quello che obbliga i fornitori di servizi on line a fare tutto il possibile – ed anche di più – per impedire la pubblicazione di musica, immagini, testi coperti dal copyright. Norma che certo non dispiace ai giganti del settore (YouTube e compagnia) perché già dispongono di costosissimi software – upload filters – che fanno da filtro al materiale che arriva ai loro server.

Ci rimette tutto il resto del settore, i piccoli provider che certo non possono permettersi quei costi ma ci rimettono soprattutto gli utenti. Che sperimenteranno anche nel vecchio continente cosa significhi la censura preventiva.

Questo fino a ieri. La direttiva dovrà essere resa operativa nei vari paesi entro la prossima estate. E i governi si stanno già muovendo: per dirne una il ministero della Giustizia di Berlino ha già prodotto una sua bozza. Che fa marcia indietro rispetto agli impegni presi di non utilizzare gli upload filters ma fa qualche apertura alle proteste, annunciando che utilizzerà alcune parti un po’ vaghe della direttiva, per ampliare il fair use, l’uso legittimo di materiale “protetto”. Si tratti di università, di studenti, biblioteche e così via.

Altri paesi hanno cominciato a discuterne. Così, il commissario per il mercato interno, Thierry Breton – all’inizio di questa estate – ha pensato che fosse arrivato il momento di dire la sua. Di spiegare come i vari paesi dovrebbero tradurre in leggi quel pacchetto di norme. Ha svolto una mini-consultazione iniziale, ha scritto una sorta di brogliaccio e ha aperto una pagina Web sottoponendo quel testo ai commenti delle persone e delle associazioni.

Non c’è alcun passo indietro, va detto subito. Prima di scrivere quelle – ancora non definitive – linee guida, però, la commissione ha ascoltato qualcuno. E si è sentita riproporre tutte intere le critiche dei tanti che hanno definito “liberticida” la direttiva europea.

Così Breton ha tentato un improbabile compromesso.

Davvero minimo: parlando genericamente di strumenti tecnologici per prevenire le violazioni del copyright – cioè i filtri, non ne esistono di altri – nel documento si tenta uno strano escamotage. E si dice che gli algoritmi-filtro da utilizzare dovranno essere in grado di distinguere fra “le probabili violazioni”, quelle palesi, che andranno bloccate senza appello, e quelle “meno probabili”. Per le quali sarebbe necessario un approfondimento. Un accertamento.

Tutto qui. Eppure è bastato questo perché i signori del copyright – tutti: dal Center of the Picture Industry ad Eurocinema, dalla federazione internazionale dei distributori ad una autodefinitasi Alleanza dei Songwriter, fino al Consiglio europeo degli editori – prendessero carta e penna e scrivessero al presidente Breton. Per ricordargli che la direttiva prevedeva altro. Prevedeva che intanto si blocchi tutto il materiale “sospetto”, su segnalazione dei titolari dei diritti. Poi – scrivono testualmente –, eventualmente, “possono partire i vari meccanismo di ricorso”.

E’ censura, dunque, censura preventiva. Affidata ad algoritmi. Che potranno bloccare qualsiasi cosa, anche una semplice critica musicale che citi o faccia ascoltare dieci secondi di un brano. Di un libro. Di un testo.

Resta solo da aggiungere una cosa. Che magari la lettera dei signori del copyright andrebbe letta. Tutta (qui il pdf).

Tanto più in Italia, dove la direttiva – a Bruxelles – ha trovato il convinto sì del 99 per cento del centro sinistra, dove la direttiva ha trovato il sostegno, oltre a quello ovvio degli editori, anche di quello del sindacato. A cominciare dal sindacato giornalisti.

Scrivono i signori europei del copyright: non ci piace la prima bozza delle linee guida per l’applicazione dell’articolo 17 perché “l’anno scorso, la Commissione varò la direttiva con l’obiettivo originario di fornire un elevato livello di protezione per i titolari dei diritti”. Una direttiva europea fatta da loro, per loro. Senza gli utenti, senza gli autori. Lo mettono nero su bianco.