Tra le assolute novità imposte dal sovranismo andrà annoverata anche questa: il Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica che convoca i vertici della finanza italiana per la paura che alcuni banchieri siano la testa di ponte di una invasione francese.

SUCCEDE INFATTI CHE IL LEGHISTA Raffaele Volpi, presidente del Copasir, l’ex comitato di controllo sui servizi segreti, dopo aver già ascoltato in audizione Mediobanca e Ubi (e domani Unicredit), voglia proporre di bloccare la scalata di Leonardo Del Vecchio a Mediobanca e Generali.

Intendiamoci, la faccenda è più che seria. La mossa dell’ottantacinquenne fondatore di Luxottica di salire al 20 per cento in Mediobanca è un vero terremoto per il capitalismo italiano, specie in periodo di pandemia, quando il calo delle azioni rende più facili le scalate. La banca di investimento milanese guidata dall’ormai lontano 2008 da Alberto Nagel è lo storico crocevia degli affari italici oltre che principale socia con quasi il 13% delle assicurazioni Generali.

Passata l’era di Cuccia, sarebbe la prima volta che un singolo imprenditore arrivi a detenere una quota così elevata di Mediobanca – il fu «salotto buono del capitalismo» – il cui azionariato negli anni è stato sempre sapientemente suddiviso tra finanzieri e capitani d’industria, storicamente riuniti in un patto di sindacato, in modo da evitare che uno potesse concentrare troppo potere. Fra i soci del patto (diventato nel frattempo semplicemente) di consultazione che riunisce il 12,6% del capitale non si raccolgono per ora reazioni chiare.

Già oggi Leonardo Del Vecchio – imprenditore più ricco d’Italia con 20 miliardi di patrimonio e reduce dal difficoltoso matrimonio degli occhiali con i francesi di Essilor – è primo azionista di Mediobanca, ma con solo 9,89%, soli tre punti percentuali in più del gruppo Bollorè – il finanziere francese che voleva comprarsi Mediaset – seguito dal fondo americano Blackrock (quasi il 5%) e dalla stessa Mediolanum, ora più della famiglia Doris che di Berlusconi. Proprio Massimo Doris si era già impegnato a cedere la sua quota a Del Vecchio l’anno scorso ma ora Berlusconi sembra il più impaurito dalla situazione.

TANTO CHE A FINE OTTOBRE 2019 il deputato di Forza Italia Mauro D’Attis aveva presentato un’interrogazione al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri sulla possibilità di un cambio in Mediobanca e nella sua principale partecipata, Generali, delle quali tra l’altro Del Vecchio ha in mano anche un 4,84% diretto. Secondo D’Attis l’avvento di Del Vecchio in Mediobanca, unito alla partecipazione nel Leone di Trieste, sancirebbe il passaggio sotto la bandiera francese dei due gruppi.

A DECIDERE SULLA SCALATA ORMAI considerata da tutti ostile su Mediobanca (e Generali) sarà la Banca centrale europea. Tra i compiti della Bce infatti c’è il controllo delle principali banche dell’area Euro. Francoforte ha tempo al massimo tre mesi, visto il diritto che si andrebbe a configurare in capo a Delfin (la finanziaria di Del Vecchio) di nominare la maggioranza del Cda della banca. I criteri che la Vigilanza europea deve valutare sono cinque e tutti facilmente superabili da Del Vecchio: reputazione e solidità finanziaria, la competenza e onorabilità degli amministratori che intende nominare, l’adeguatezza ai requisiti prudenziali che la banca «bersaglio» avrà dopo l’acquisizione, valutazioni sui rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. La Bce può imporre condizioni, e magari approfondimenti e richieste di chiarimenti a Del Vecchio, ma il fondatore di Luxottica – è opinione diffusa fra gli addetti ai lavori – ha la strada spianata per portare a termine l’operazione.

Del Vecchio è certamente un imprenditore di successo ma «con una limitata esperienza nel settore bancario», hanno osservato gli analisti di Citi. «L’aumento della quote fino al 20% potenzialmente comporta un’influenza significativa sul board e sarebbe una fonte fondamentale di incertezza rispetto alla strategia a medio termine della banca e alla continuità della gestione», rimarcano gli analisti.

DECISIVA PER LA PARTITA SARÀ la scelta dei vari azionisti a piazzetta Cuccia e a Trieste, senza trascurare l’asse di Del Vecchio con Caltagirone e coi Benetton, in grave crisi per Atlantia e Autostrade. Per scegliere come comportarsi difficilmente potranno ignorare che, nella battaglia ormai sempre più evidente tra Intesa Sanpaolo (che tre anni fa cercò di comprarsi Generali ma fu fermata da Mediobanca) e Unicredit, Mediobanca è ormai schierata con Messina mentre Del Vecchio fa asse con la banca milanese che proprio l’anno scorso gli ha spianato la strada uscendo da Mediobanca. E Unicredit è guidata dal francese Jean Pierre Mustier.

Ecco dunque che torna la spauracchio della longa manus di Parigi ed ecco l’idea sovranista di attivare il Golden Power – esteso proprio a banche e assicurazioni dal decreto Liquidità – per difendere l’italianità di Mediobanca e Generali. Ma non si capisce come, visto che Del Vecchio è (ancora) un cittadino italiano.