Uno sceneggiatore navigato non avrebbe potuto fare di meglio. Per una serie di circostanze, in parte casuali, proprio alla vigilia della Festa della Repubblica la crisi della Repubblica si palesa non solo in tutta la sua profondità ma anche in tutta la sua estensione. Non sono più solo la politica e l’economia, fronti sui quali la crisi si è cronicizzata già da tempo immemorabile. Il quadro è devastato ovunque: dalla guerra a colpi di iscrizioni nel registro degli indagati che dilania le procure e lacera la magistratura, sin qui vista da molti come uno dei pochi punti di riferimento affidabili, alla clamorosa protesta dei generali in pensione, che oggi diserteranno la parata. Una mossa tanto forte che lo Stato maggiore della Difesa sente il bisogno di dissociarsi apertamente.

IN QUESTA SITUAZIONE il capo dello Stato sceglie la prudenza. Il messaggio che ha letto ieri sera è chiaramente rivolto a chi ha vinto le elezioni ed è senza dubbio severo: «Libertà e democrazia non sono compatibili con chi alimenta i conflitti, con chi punta a creare opposizioni dissennate tra le identità, con chi fomenta scontri». E’ un monito indirizzato alla Lega e al suo capo ma è anche la scelta di non accennare alla guerra senza esclusioni di colpi che ha fatto del governo e della maggioranza un campo di battaglia. Come sempre Mattarella si preoccupa del rispetto estremo delle forme e della correttezza istituzionale. Non sta a lui, per ora, mettere bocca nel rapporto tra i partiti della maggioranza. Non fino a quando resiste una possibilità che i soci contraggano un nuovo patto e provino ad andare avanti.

NON SIGNIFICA CHE Mattarella non sia preoccupatissimo e che non stia già considerando gli eventuali scenari ove la situazione precipitasse. La prossima settimana sarà decisiva ed è già ad altissimo rischio. «Il consiglio dei ministri si riunirà probabilmente venerdì mattina. Io vedrò Di Maio, ma non prima di giovedì», annuncia Salvini. Il leghista si presenta alla Festa del Colle con la fidanzata, Francesca Verdini, e scambia un saluto al volo con Di Maio: «Ci vediamo?», «Ma sì». E alla fine della Festa i vicepremier accettano persino di farsi immortalare insieme. Un po’ poco per parlare di disgelo ma con i chiari di luna di questa fase è già qualcosa.

Il capo della Lega vuole arrivare all’appuntamento cruciale del cdm dopo aver visto le carte degli avversari. Conte domani parlerà «al Paese». «Sentiremo cosa dice. Speriamo che il week end porti consiglio», commenta il leghista Garavaglia. Oltre a sperare il viceministro comunica anche cosa la Lega vuole sentirsi dire: «Se continuano i no meglio prenderne atto e andare al voto, anche perché sono le divisioni ad alimentare lo spread. In questo clima io ho anche pensato di lasciare». Servono «i sì alla Tav, all’autonomia e alla crescita». Non sarebbe male anche «una registrata» ad alcuni ministeri che «fanno meno bene di altri»: Infrastrutture, Ambiente, Difesa. Poco dopo, dal Quirinale, Salvini confermerà.

ANCHE SU QUESTO PIANO la Lega aspetta di vedere gli alleati alla prova. L’occasione non tarderà. Arriverà già martedì prossimo. Quando Garavaglia parla di «crescita» allude all’emendamentone leghista che, riscrivendo quasi in toto lo Sblocca cantieri, chiede la sospensione del Codice degli appalti per due anni. Messa sul tavolo senza avvertire né i 5S né Conte, la mossa, ideata da Salvini in persona, è al limite della provocazione e oltre. Venerdì pomeriggio i 5S riuniti in un clima da stato d’assedio hanno deciso di tenere duro e, quando martedì il dl inizierà a essere votato al Senato, di bocciare il colpo di mano. Senza una mediazione in extremis potrebbe essere il casus belli perfetto per Salvini.

Nella stessa settimana, mercoledì, arriverà la replica della commissione Ue alla lettera di risposta del governo italiano. Salvini ha già impostato la linea recuperando i toni dello scontro a uso propaganda interna: «Vedremo chi ha la testa più dura». Ma dopo il disastro della fuga di notizie sulla prima bozza della risposta di Tria, tutto è diventato ancora più difficile tra 5S e Lega: i primi sono convinti che a guidare Tria a loro danno sia Salvini, gli altri addebitano ai pentastellati la fuga di notizie ed è ancora Garavaglia a scagliare la pietra: «Non esiste che il Mef possa essere messo in discussione in questo modo». E domani Tria darà seguito a quanto anticipato da Conte, presentando una denuncia per «divulgazione di atti secretati e violazione di segreto d’ufficio».

ANCHE DALLE REAZIONI al primo verdetto di Bruxelles la Lega ricaverà elementi per decidere come comportarsi venerdì. Se si arriverà, come è possibile pur se niente affatto certo, alla rottura, allora sì che la palla passerà davvero a Mattarella. Farà di tutto, anche se secondo il suo stile, per non arrivare alle urne prima del prossimo anno.