Nel cuore della Garbatella, a un tiro di schioppo da Eataly, un gruppo di giovani variamente colorati ha aperto un ristorante gourmet contaminando le cucine di provenienza e sfidando i costi della ristorazione alta: si chiama «Altrove» e il suo pay-off recita Porte aperte sul mondo. I ragazzi hanno frequentato i corsi di cucina, pasticceria e sala-bar organizzati dalla onlus Cies (centro informazione e educazione allo sviluppo) guidata da Elisabetta Melandri. La trattoria è diretta da Sandro Balducci, un signore di 72 anni che in un’altra vita è stato dirigente del Pci e in quella attuale deve aver concluso qualche segreto affare con Mefistofele che gli ha strappato vent’anni nel volto e nella postura.

WAFAA E IL NETTARE DEGLI DEI
Il nigeriano Godwin ha 25 anni, arrivò in Italia senza mai aver visto né mangiato spaghetti: dopo lo sbigottimento nel constatare che anche i maschi possono destreggiarsi tra padelle e cime di rapa («da noi sono solo le donne a cucinare») ora affianca la peruviana Elisabeth nell’approntare il pranzo quotidiano. Il ventenne Mamadou nacque in Guinea e sbarcò sulle nostre coste tre anni fa, il Cies lo aiutò a disvelare la passione per i dolci e si dichiara felice quando i commensali vanno in estasi per una sua succulenza. Wafaa è una sciarmosa marocchina col sorriso costante incorniciato dal velo: serve in sala ma non beve né tocca alcolici, neppure i vetri che li contengono, così lei prende le ordinazioni ma il nettare degli dei lo fa accompagnare da altri camerieri. Poi c’è Alessandra, nata a Roma da una coppia pakistana-togolese, le cui mani sono giocoliere di aperitivi; l’ucraina Alina che elabora una vellutata di piselli in riduzione di yogurt al profumo di menta; Lilli, giunta da Haiti coi genitori in seguito al terremoto del 2010.

Francesco Di Paolo sovrintende in pasticceria e panificazione (sì, fanno pure il pane, ovviamente con lievito madre), mentre Claudia Massara è l’autoctona purosangue che coordina la cucina interculturale, una chef orgogliosa di aver portato «Altrove» in un solo anno tra i migliori trenta ristoranti capitolini secondo la celebre rivista americana Forbes.

IL RISPETTO E LA TRASPARENZA
Sandro Balducci (amico -non parente- del mirabile sacerdote Ernesto Balducci) illumina percorso e prospettive di questa Impresa sociale che è progetto pratico di integrazione lavorativa, seguendo principi etici che dovrebbero essere patrimonio indiscutibile di qualsivoglia educazione all’esistenza (non solo alimentare) e che «Altrove» esige dalle imprese fornitrici: tutela ambientale, rispetto dei lavoratori e dei loro diritti, rispetto degli animali e abiura di inutili e nocive (ancorché vigliacche) sofferenze, frutta e verdura di campi liberi da veleni e inquinanti… Persone di filiere trasparenti e partecipate, fra le quali citiamo le detenute di Rebibbia che sui terreni interni al carcere producono «Cibo agricolo libero» (allevano pecore, conigli, polli, tacchini e producono formaggi bio), o i ragazzi africani della cooperativa Barikamà (in lingua bambarà significa Resistente), che parteciparono alle rivolte contro razzismo e sfruttamento bracciantile a Rosarno e che oggi espandono messaggi progressivi accogliendo al lavoro ragazzi italiani diversamente sfortunati (autistici), facendo yogurt, coltivando ortaggi… Nemesi storica, ironia della sorte che brucia i fondelli sovranisti. Dice Sandro: «Sono amico del Cies dalla sua fondazione negli Anni 80, ho seguito i progetti di sviluppo in Italia e all’Estero, soprattutto scuole in Africa e Sudamerica, abbiamo duemila mediatori culturali presenti ovunque sul nostro territorio nazionale -dall’estremo nord a Lampedusa- che padroneggiano quattrocento lingue e dialetti… Altrove nasce da un’idea partorita nel centro di aggregazione giovanile e scuola d’arte MaTeMù (in memoria di Maria Teresa Mungo, cofondatrice del Cies) suddivisa in corsi: danza, teatro, musica jazz e folk, lingua italiana e informatica, tutti con insegnanti di alto livello, dove in otto anni sono passati novemila ragazzi (non solo stranieri) che spesso sono stati salvati dalla strada e sono divenuti raffinati professionisti (esperienza preziosa messa gravemente in difficoltà dall’attuale Governo), un’idea che abbiamo chiamato MaTeChef e che ha fra i sostenitori la chiesa Valdese: sessanta ragazze/i in parte allocati in vari ristoranti eticamente selezionati e in parte qui, undici persone di undici etnie differenti assunte in regola con contratto a tempo indeterminato (tredicesima, quattordicesima, un mese di ferie…), un punto luminoso di riferimento per tutti oggigiorno. Pilastro etico di questa impresa è che gli utili sono destinati alla nascita di esperienze similari, moltiplicandole, contribuendo alla formazione d’una nuova coscienza civile in tutti: una mission in cui rientrano serate-evento come quella con uno chef calabrese a cui la mafia ha incendiato due volte il locale, altre con Libera, Arci…»

IL MURO DI ITALO CALVINO
Al tavolo dove converso con Balducci siede pure Elisabeth, che dal Perù porta colori e sapori d’una gastronomia oggi fra le più rinomate al mondo, e nel viso trasmette lontani lineamenti inca: «Ho 29 anni, ho studiato alla scuola alberghiera di Lima, mi sono sposata, a 19 anni ho avuto Arianna («a scuola è bravissima» commenta Sandro), mio marito è muratore, è venuto in Italia per lavorare, io l’ho raggiunto. All’inizio facevo la baby-sitter e le pulizie nelle famiglie, ma le signore volevano sempre che facessi ore in più gratis… poi ho lavorato in nero nei ristoranti peruviani dove non sempre mi pagavano, sono stata anche un anno a Milano, infine ho letto su Facebook di MaTeChef e ora son qui… Ho gusto nel palato, mi piace cucinare, ancora di più amo coniugare le varie cucine, spaghetti ai mariscos e pimienta, gallo marinato alla brace… qui è bellissimo, ho imparato tanti piatti di altri Paesi, sto bene in Italia, sorvolo sul razzismo che puoi sentire in giro, è gente con la testa malata; tra i bambini non è così, mia figlia non ha problemi, stanno insieme, giocano, imparano, si divertono… In Perù c’è molta criminalità, ti ammazzano sulla strada per un cellulare in pieno giorno, pure se ci sono poliziotti, magari fan finta di non vedere, hanno paura, temono per sé e la famiglia, ho visto coi miei occhi sparare alle gambe a una donna che non voleva mollare la borsetta, qui mi sento più sicura. E spero un giorno di aprire un mio locale con la stessa filosofia di Altrove».

È ora di cena, i miei ospiti insistono perché mi fermi a gustare le loro prelibatezze. La carne è debole, il momento propizio, la gola incline a esplorare inedite alchimie, accetto.
Ed al tavolo sotto la parete dove Italo Calvino ha scritto «Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori» suonano nel mio corpo sinfonie d’incanto: dall’ouverture di una ceviche marinata con mela verde e peperoncino al cous cous con verdure grigliate unite a mirtilli rossi e mandorle tostate, ai mezzi paccheri al ragù di pecora e tinto di Maremma, alle polpette speziate in salsa piccante di feta e pistacchi….
La notte sarà gioiosamente onirica stanotte.