La riforma del mercato dell’energia a livello europeo, che «disaccoppi» il costo di gas ed elettricità, è sostenuta da molte forze politiche, specialmente in Italia durante questa difficile campagna elettorale che si inserisce nella più grave emergenza energetica del dopoguerra. Attualmente il mercato elettrico, che nasce per garantire la stabilità di una rete alimentata prevalentemente dalle grandi centrali sulla rete di alta tensione, è basato su quello del giorno prima in cui i produttori fanno le loro offerte per coprire le quote di energia elettrica da cui scaturisce il Prezzo Unico Nazionale (Pun) che diventa il prezzo di riferimento per la compra-vendita degli operatori sul mercato retail cioè quello degli utenti. Oggi le rinnovabili coprono mediamente il 30-40% del mercato contribuendo ad abbassare un prezzo che è spinto al rialzo dall’elevato costo del termoelettrico alimentato dal gas naturale.

QUESTA SOLUZIONE, così come quella del price cap, non è rapida come invece richiederebbe il momento di urgenza e neppure semplice da attuare in quanto creerebbe mercati difficilmente gestibili che non farebbero scendere il prezzo dell’energia elettrica.

È BENE SAPERE CHE LA RETE DI ALTA tensione serve unicamente per trasferire l’energia elettrica prodotta dalle grandi centrali sulle lunghe distanze rifornendo direttamente soltanto lo 0,002% delle grandi utenze industriali che «pesano» per circa il 10% del fabbisogno elettrico nazionale. Da questi elettrodotti si diramano circa 2.000 cabine primarie che trasformano l’energia elettrica in media tensione a cui sono collegate direttamente lo 0,3% di utenze industriali che consumano circa un altro 38,3% del fabbisogno nazionale. Il restante 99,7% delle utenze domestiche, commerciali e industriali è connesso alle oltre 430.000 cabine secondarie, che trasformano l’energia elettrica in bassa tensione, e che consumano il 51,4% del fabbisogno nazionale. Quando i piccoli e medi impianti fotovoltaici, ma più in generale i micro-generatori, immettono energia elettrica nella rete di bassa tensione forniscono in modo naturale energia elettrica a quei contatori che sono collegati allo stesso ramo di rete attraverso un meccanismo di «scambio naturale» di energia elettrica che avviene sotto le cabine secondarie e non può essere impedita per legge perché è legata a un effetto fisico. Questo «scambio di energia» tra utenti produttori e consumatori legati alle cabine secondarie è quello che prende il nome di autoconsumo collettivo ed è oggi è riconosciuto dalla legge 8/2020 prendendo il nome di Comunità Energetiche Rinnovabili.

IL GESTORE DEL SISTEMA ELETTRICO (Gse) nazionale può contabilizzare attraverso i contatori tutti i chilowattora che vengono autoconsumati collettivamente tra i soggetti che producono e consumano sotto la stessa cabina di bassa tensione secondo quanto prescritto dall’Authority (Arera).

IL GSE HA PUBBLICATO IL RAPPORTO Statistico dedicato al fotovoltaico in cui si evince che a fine 2021 erano installati in Italia 1.016.000 impianti fotovoltaici per una potenza totale di circa 22,6 GW e una produzione di poco superiore a 25 TWh di cui 922 mila sono sotto di 200kW di potenza e producono 9,9 TWh nella rete di bassa tensione dove si può stimare che 6,1 TWh siano autoconsumati collettivamente.

A QUESTO PUNTO UNA PRIMA DOMANDA sorge spontanea: se buona parte di tutti gli elettroni, che sono prodotti da impianti fotovoltaici sotto le cabine secondarie, vengono autoconsumati collettivamente, perché dunque facciamo «finta di comprarli dal nostro fornitore di energia» e non li compriamo dal nostro vicino che magari ha l’impianto fotovoltaico su casa e che effettivamente ce li fornisce? La risposta è semplice: la legge ce lo impedisce in quanto per poter fare questa compra-vendita, il cui scambio fisico avviene in modo naturale e che non si può impedire, vi deve essere un intermediario al quale il nostro vicino dovrebbe cedere virtualmente l’energia prodotta dal suo impianto fotovoltaico per potercela consegnare al nostro contatore anche se noi nel mentre l’abbiamo già comunque presa in piena autonomia.

UNA SECONDA DOMANDA SORGE spontanea: se già con gli attuali contatori è possibile identificare sulle bollette l’energia elettrica autoconsumata collettivamente, perché ogni singolo utente non può scontarsela direttamente dalla bolletta visto che non usufruisce oggettivamente del servizio dell’intermediario?

PER FARE QUESTA OPERAZIONE, più corretta, equa e vantaggiosa per gli utenti, non ci sarebbe alcuna necessità di intervenire sull’infrastruttura di rete ma sarebbe sufficiente modificare le attuali modalità di tariffazione così da arrecare vantaggio sia per chi consuma sia per chi produce energia elettrica da fonte rinnovabile; in particolare: 1) per chi consuma – il prezzo dell’energia dovrebbe essere differenziato sulla bolletta a seconda che i chilowattora provengano o dall’autoconsumo collettivo o effettivamente dal fornitore. I chilowattora autoconsumati collettivamente dagli utenti collegati alle cabine secondarie dovrebbero essere fatturati dai fornitori di energia ad un prezzo fisso definito dall’Authority (Arera) e versati al Gse come onere di sistema mentre la restante quantità di energia sarebbe invece pagata dall’utente al prezzo dell’offerta dell’operatore il cui valore è costruito secondo l’attuale metodo di calcolo nazionale con cui si forma il Pun; 2) per chi produce energia elettrica da fonte rinnovabile – ogni chilowattora immesso nella rete che viene per sua natura autoconsumato collettivamente sarebbe premiato dal Gse attingendo al fondo costituito dalle somme versate da chi autoconsuma collettivamente con una modalità analoga a quella del ben collaudato conto energia.

IN QUESTO MODO, IL CONSUMATORE otterrebbe il prezzo del chilowattora autoconsumato collettivamente scontato direttamente in bolletta: per esempio, invece di pagarlo 40-50 centesimi a prezzo di mercato, potrebbe pagarlo solo 15 centesimi come onere di sistema e questi ultimi finirebbero, tramite il Gse, a premiare il produttore creando così un nuovo conto energia. Lo Stato non spenderebbe nulla se non l’implementazione del servizio per monitorare l’autoconsumo collettivo del Gse; il consumatore che consuma circa 2700 kWh otterrebbe un risparmio di circa 260 euro ogni anno su una bolletta di 1100 euro; mentre il produttore con un impiantino fotovoltaico domestico di 2,5 kW riceverebbe un incentivo annuale fisso e sicuro di circa 265 euro ogni anno con cui ridurre il tempo di ammortamento del suo investimento. Il fornitore fatturerebbe sempre gli stessi chilowattora ad un prezzo fisso definito da Arera ma non potrebbe lucrare su quelli autoconsumati collettivamente.

I RISULTATI DI QUESTA OPERAZIONE sarebbero: 1) un’immediata riduzione dei costi in bolletta senza costi per lo Stato; 2) una riduzione degli extraprofitti delle aziende fornitrici del servizio elettrico che oggi fatturano energia elettrica che non consegnano realmente; 3) un incremento della realizzazione degli impianti fotovoltaici perché se una cosa ha funzionato bene per incrementare le rinnovabili è stato il Conto Energia istituito tra il 2005 e il 2011 che ci ha fatto installare fino a 9,5 GWp di fotovoltaico ogni anno. Una stima prudenziale del valore di questa riforma, allo stato attuale degli impianti installati in bassa tensione, sarebbe di 1,6 miliardi di euro all’anno di risparmi sulle bollette elettriche di quasi 6 milioni di famiglie.

* Componente del comitato promotore di Energia per l’Italia