Alle tre del pomeriggio Angelino Alfano si mostra ottimista. «Abbiamo lavorato affinché la solidarietà non fosse qualcosa di volontario ma fosse vincolata a un accordo europeo e il meccanismo fosse vincolante e obbligatorio», spiega da Bruxelles il ministro degli Interni riferendosi alla divisione in Europa dei profughi. Un parere condiviso anche dall’alto rappresentante Ue Federica Mogherini, che parla addirittura di «soluzione storica». Parole che nel giro di una manciata di minuti vengono smentite seccamente dal polacco Donald Tusk. Introducendo i lavori del vertice dei capi di stato e di governo dedicato alla situazione greca e all’approvazione dell’agenda immigrazione, il presidente del consiglio europeo gela le aspettative italiane: «Non c’è consenso tra gli Stati membri per un meccanismo di quote obbligatorie», dice.
Stavolta non si tratta più di avere posizioni distanti sulle quali cercare una mediazione. Quando si tratta di affrontare questioni come l’accoglienza dei richiedenti asilo, Italia e Europa parlano due lingue diverse. Non si capiscono o, meglio, non vogliono capirsi. La prima chiede maggiore condivisione nel dividersi una cifra tutto sommato modesta (40 mila) di profughi siriani e eritrei tra i 28 stati membri. La seconda risponde picche respingendo il principio della obbligatorietà della redistribuzione – come proposto dalla commissione europea e come vorrebbe Matteo Renzi – e tornando a chiedere che ogni scelta venga fatta su base volontaria, lasciando così mani libere agli Stati. Un punto sul quale insistono da mesi soprattutto Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna e Francia, oltre naturalmente alla Gran Bretagna che di profughi non vuole nemmeno sentirne parlare.
C’è poco dunque da essere ottimisti per un consiglio europeo che comincia a parlare di immigrazione solo a tarda sera rimandando probabilmente ogni decisione a oggi. L’unico punto sul quale l’accordo è unanime sono i respingimenti dei migranti irregolari che costituiscono il 60% degli arrivi. Pur di liberarsene Bruxelles è disposta ad aprire i cordoni della borsa finanziando l’apertura di hotspot in Sicilia, Puglia, Calabria, i principali punti di sbarco dei migranti. Si tratta di una specie di grandi Cie nei quali i migranti verranno identificati e divisi tra chi ha diritto a presentare domanda di silo e chi no. Questi ultimi saranno immediatamente rimpatriati. Anche se Bruxelles mette i soldi la gestione degli hotspot (idea francese fatta propria da Renzi) sarà italiana, ma funzionari di Frontex arriveranno in aiuto per accelerare le identificazioni Ulteriore dimostrazione della scarsa fiducia dell’Unione europea nei nostri confronti.
Sempre Bruxelles finanzierà anche i costi dei voli charter che riporteranno gli irregolari nei Paesi di origine. Al di là di qualche annuncio un po’ troppo enfatico, si tratta di una normale procedura già in atto da tempo e limitata a Egitto, Tunisia, Niger e Marocco, i soli quattro Paesi con i quali esiste un trattato per i rimpatri. Nel vertice di ieri si è discusso anche della possibilità che l’Ue stipuli nuovi trattati con altri Paesi, in particolare africani, ma si tratta di procedure che richiedono tempi lunghi, a volte anche anni, e costose.
E almeno qualche mese potrebbe richiedere anche l’attuazione del piano per lo screening dei migranti. A Bruxelles si fa notare come l’approvazione degli aspetti tecnici, come il via libera alla realizzazione degli hotspot, non potrà avvenire prima di luglio, sotto la nuova presidenza lussemburghese, per arrivare entro settembre al via libera da parte del parlamento europeo.
Mesi durante i quali l’Italia potrebbe ancora una volta ritrovarsi sola.