Non potendo viaggiare, in queste settimane ci dedichiamo a letture ambientate in paesi dove vorremmo tornare. Una raccolta di saggi e tre romanzi ci accompagnano in Turchia, rivelando un comune denominatore: il desiderio di libertà, in un paese dove negli ultimi due anni 317 giornalisti sono stati arrestati e oltre 2500 hanno perso il lavoro, 54 giornali, 20 riviste, 24 radio, 17 reti televisive e sei agenzie di stampa sono state chiuse. Nel volume Turchia dato alle stampe da Iperborea nella serie «The Passenger. Per esploratori nel mondo» (Milano, 2020, pp. 208, euro 19,50) ci sono molti articoli interessanti. In quello intitolato «Matite affilate, matite spezzate» Valentina Marcella spiega che la satira non si fa scoraggiare dal clima censorio: i singoli artisti e le riviste umoristiche hanno mantenuto la linea di sempre nonostante la rabbia di Erdogan e le reazioni della magistratura che mette sotto processo i vignettisti per poi condannarli a risarcimenti di migliaia di euro. Tematiche esaminate con i suoi ospiti anche dal giornalista turco Murat Cinar, torinese d’adozione, nei suoi podcast sul portale www.spreaker.com/show/murat-cinars-show.

Veniamo ai romanzi. Elefteria di Istanbul di Kemal Yilmaz (trad. di Tina Maraucci, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2020, pp. 202, euro18) è la storia d’amore tra una ragazza della minoranza greca e un giovane turco musulmano. Si innamorano sulle rive del Bosforo nel 1955 ma gli eventi li separano. Mezzo secolo dopo, a raccontare le loro vicende sarà la figlia Magnolia, cresciuta con la madre ad Atene. Sullo sfondo, i terribili attacchi alla minoranza greca nella notte tra il 6 e il 7 settembre 1955, commentati così: «Gli aggressori facevano gli eroi, gli uomini di fede. Noi non gli avevamo mai mancato di rispetto, e anche se ci chiamavano minoranza, non ce ne importava. Le nostre radici affondavano lì, nella nostra terra, nella nostra patria. Razzismo che si nutre di ignoranza… C’è forse un’altra ragione per attaccare degli innocenti, che siano greci, armeni o ebrei, per pestare a morte qualcuno, saccheggiare la sua casa, stuprare le sue donne?»

Meno recenti, ma da non perdere, sono i romanzi di Burhan Sönmez, avvocato specializzato nei diritti umani esule in Gran Bretagna e ora nuovamente in Turchia. Il primo si intitola Labirinto (trad. di Anna Valerio, Nottetempo, Milano, 2019, pp. 166) e racconta le vicende di Boratin, un musicista blues. Tenta il suicidio buttandosi dal Ponte sul Bosforo, se la cava con qualche costola rotta ma perde la memoria. Ignaro del proprio passato e della stretta attualità, con riferimento al presidente Erdogan osserva quanto sia «ridicolo che al giorno d’oggi un politico si creda un sultano» e osserva come Istanbul non possa «mantenere più le promesse con nessuno, questa città è morta soffocata sotto la cappa di oscurità del suo antico fascino». L’altro romanzo di Sönmez si intitola Istanbul Istanbul (trad. di Anna Valerio, Nottetempo, Roma, 2016, pp. 300, euro 17) e rende bene l’idea di che cosa voglia dire essere arrestato e finire in galera in Turchia. Il libro è ambientato in una cella sotterranea e gelida, i protagonisti sono quattro: un medico, un barbiere, uno studente e un vecchio rivoluzionario. Condividono quello spazio angusto per dieci giorni, le torture si alternano alle storie che si raccontano e li tengono in vita. Sopra di loro, la vita continua. In entrambi i volumi, la vera protagonista pare essere la città di Istanbul.