Nel 1976 qualcuno pensò che il clamoroso successo di Lucio Battisti in Italia fosse esportabile anche nel proibitivo mercato discografico anglosassone, statunitense in particolare. Il cantante si trasferì quindi agli studi Rca di Hollywood per incidere un disco pensato per conquistare gli ascoltatori d’oltreoceano. L’idea di fondo era quella secondo cui le canzoni che Battisti aveva scritto con Mogol avrebbero potuto funzionare da quelle parti solo se lui le avesse ricantate in inglese.
SULLA SPIAGGIA
Le ingessate traduzioni letterali dei testi, l’inglese un po’ impacciato del grande Lucio, gli arrangiamenti all’italiana resero il disco, uscito nell’estate del 1977 con il titolo Images, un sonoro e umiliante flop. Battisti che aveva confessato ad alcuni amici le sue perplessità, pare non ne fosse sorpreso più di tanto.
Nessun americano ha mai imparato a suonare la chitarra sulla spiaggia strimpellando The Sun Song (La canzone del sole), né sulle highway nessuno ha mai alzato il volume sulle note trasmesse da una radio di Keep on Cruising (Sì, viaggiare). L’errore fu ripetuto con modalità pressoché identiche quasi un decennio dopo da un altro gigante della musica italiana, Franco Battiato. Il grande successo italiano e in parte europeo di album come La voce del padrone e L’arca di Noè, spinse il cantautore siciliano a incidere nel 1985 per la Emi, Echoes of Sufi Dances, una selezione dei suoi brani cantati in inglese. Erano alcune delle composizioni ritenute più esportabili, ma anche in questa occasione le traduzioni alla lettera e l’inglese troppo scandito delle interpretazioni di Battiato resero l’operazione un altro irrimediabile fallimento. Il disco non fu neppure promosso sul mercato Usa, la prevista tournée Usa venne cancellata.
L’album uscì in una appena più decorosa versione in spagnolo, ma poi divenne un altro cimelio per collezionisti. «Bisogna far scrivere i testi a un madrelingua e cantarli in quel modo, ma se non vuoi rinunciare perché credi veramente a certi significati la paghi», riconoscerà qualche tempo dopo lo stesso Battiato.
La storia della discografia deve molto all’Italia, il primo prodotto discografico a superare la fatidica soglia del milione di copie vendute fu l’aria Vesti la giubba tratta dall’opera I Pagliacci di Leoncavallo nell’interpretazione di Enrico Caruso che venne incisa nel novembre 1902 e pubblicata dalla G&T come 78 giri. In realtà dagli anni ’50 e cioè dall’inizio dell’era della musica pop, per artisti italiani non legati all’opera o alla tradizione del bel canto trovare riconoscibilità e visibilità sul mercato statunitense è sempre stato difficilissimo. Il primo e unico singolo italiano a occupare il primo posto della classifica dei singoli Usa è stato Nel blu dipinto di blu (Volare) di Domenico Modugno nell’agosto 1958. Il primo album di un gruppo italiano a entrare nella classifica americana fu Photos of Ghosts, lp del 1973 della Premiata Forneria Marconi lanciata negli Usa dall’etichetta Manticore voluta dagli Emerson, Lake & Palmer. Il gruppo ai tempi era composto da Franco Mussida, Flavio Premoli, Mauro Pagani, Giorgio Piazza e Franz Di Cioccio. Era il momento del progressive rock e la band produsse un disco cantato in gran parte in inglese che raccoglieva nuove versioni di composizioni originariamente pubblicate nei loro primi due album, Storia di un minuto e Per un amico, con l’aggiunta di un inedito, Old Rain.
Ma la Pfm non fece l’errore in cui sarebbero caduti successivamente Battisti e Battiato. Gran parte dei testi erano stati riscritti e riadattati all’inglese da uno dei produttori dell’album, Peter Sinfield (già nella lineup originaria dei King Crimson), mentre la canzone Il Banchetto fu lasciata in italiano. L’album non fu esattamente un trionfo commerciale, non andò oltre il 180° posto della classifica statunitense, ma sfatò un taboo e fu la prima affermazione nella patria del rock di un gruppo italiano.
UN CLASSICO
Oggi i primi dischi della Pfm sono riconosciuti a livello internazionale come dei classici del progressive. L’edizione americana di Rolling Stone ha inserito l’album Per un amico nella classifica dei 50 dischi migliori della storia del prog. La ricetta era in fondo semplice: capire le esigenze del mercato, ma non rinunciare alla propria identità.
Spiegherà Franz Di Cioccio: «La Pfm non ha mai finto di essere un gruppo anglosassone, abbiamo sempre difeso il nostro stile e le nostre radici». L’anno dopo la band pubblicò il disco live Cook (edito successivamente in Italia come Live in USA) che entrò nella classifica statunitense al 151° posto. Sono seguiti decenni di vacche magre. Per anni l’unico italiano di casa nel mercato discografico americano è stato Luciano Pavarotti che debuttò in classifica nel 1980 con due album per poi conquistare le vette con i Tre Tenori in compagnia di Domingo e Carreras. Eros Ramazzotti e Laura Pausini non sono mai riusciti a varcare i confini del pubblico ispano-americano, non andando mai oltre le chart riservate al pop latino.
IN ATTESA
Per ritrovare un album italiano non legato alla tradizione operistica nelle chart, bisogna attendere il 1999 e il trio di musica dance Eiffel 65 che con il loro Europop arrivarono al quarto posto tra gli album e nella top ten dei singoli con il brano Blue (Da Ba Dee).
Zucchero, dopo anni di collaborazioni di prestigio in giro per il mondo e un singolo di successo in Inghilterra con Paul Young (Without a Woman), pubblicò nel 2004 la raccolta Zu & Co. che lo portò all’84esimo posto della classifica a degli album più venduti di Billboard.
Per riuscirci, però, aveva dovuto reclutare una impressionante squadra di collaboratori da Miles Davis a Sting, da John Lee Hooker a Dolores O’Riordan, da B.B. King a Eric Clapton.
Non ripeté l’errore di Battisti e Battiato: Sugar decise di non insistere nelle traduzioni dove non era necessario, alternando il suo italiano all’inglese (o allo spagnolo) degli ospiti e mantenendo comunque il suo approccio poliglotta alla musica e alle interpretazioni. Il risultato fu uno dei maggiori successi della musica italiana a livello internazionale.
La classifica Usa non è più per artisti non anglosassoni l’Everest degli anni passati. Ma negli ultimi anni due generi opposti hanno portato l’Italia regolarmente alla ribalta. Innanzitutto l’opera e la sua versione più leggera con Andrea Bocelli, i cui album da Viaggio Italiano del ’95 sono stabilmente dei best seller, e il giovane trio Il Volo la cui rivisitazione pop del bel canto ha garantito loro un ingresso nella top ten. Poi viene il metal.
ALTRE VOCI
I milanesi Lacuna Coil sono entrati timidamente in classifica nel 2002 nella chart di Billboard al 178° posto con l’album Comalies (il disco ha finito poi per vendere negli Usa 300mila copie), la band da allora si è guadagnata, anche grazie ai tour, una base di fan molto fedeli e si è sempre ripetuta con tutti i dischi successivi: Karmacode nel 2006, Shallow Life nel 2009, Dark Adrenaline del 2012 (arrivato al 15° posto, il loro record), Broken Crown Halo del 2014 e Delirium del 2016.
Ora è il turno dei Fleshgod Apocalypse che, entrando all’88° posto della classifica Top Album Sales (quella che misura la vendite reali, fisiche e digitali) entrano, sulla scorta del loro furioso heavy metal, a far parte di un ristrettissimo club.