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Trump: la colpa è degli untori europei

Trump: la colpa è degli untori europei

Covid-19 Il discorso del presidente degli Stati uniti d'america

Pubblicato più di 4 anni fa
Luca CeladaLOS ANGELES

Dopo settimane di tergiversazioni e papere, dubbie rassicurazioni, propaganda e disinformazione, il comandante in capo che aveva dichiarato di non voler far sbarcare i malati dalla Grand Princess perché avrebbero rovinato le statistiche (“a me i numeri piacciono così, bassi”) alla fine ha dovuto cedere alla pressione e “parlare agli Americani”. È stata la versione in cui Trump impersona un presidente vero, cioè legge dal teleprompter il copione preparato dai consiglieri per simulare “presidenzialità”.

In queste occasioni il presidente fa fatica, è affannato, ansima e aspira vistosamente dal naso. L’effetto è ancora più inquietante, le parole sul gobbo comunque improntate alla nota miscela di menzogna, opacità e auto congratulazione. Prima, però, un preambolo per travisare la realtà e piegarla a una narrazione spuria: “La nostra risposta è stata impeccabile. Abbiamo subito istituito ferree restrizioni sui viaggi in Cina,” dice Trump con orgoglio isolazionista. “La nostra azione tempestiva ha contenuto l’epidemia su numeri molto più modesti che in Europa”. Vero, il blocco dei confini è vocazione congenita di Trump, un riflesso applicabile a ogni circostanza. Ma nella fattispecie un vero totale blocco di traffico dalla Cina non c’è mai stato. Le restrizioni annunciate il 31 gennaio si applicavano ai cittadini stranieri, non ad americani, naturalizzati e parenti. 5 giorni dopo l’annuncio c’erano ancora 70 voli al giorno circa in entrata dalla Cina.

I fatti, è noto, non hanno però mai dissuaso il presidente che annuncia perentorio il blocco del traffico aereo con l’Europa, dispositivo “di sicurezza” che ha il piglio però da sanzione punitiva. Spiega Trump: “L’unione Europea non ha preso le necessarie precauzioni per bloccare come noi i viaggi dalla Cina. E così numerosi focolai negli Stati uniti sono stati provocati da viaggiatori europei”. Il discorso che doveva trasmettere fiducia in un leader severo ma deciso, è degenerato nell’ennesima variazione di filippica paranoide con cui Trump deflette responsabilità, stavolta sugli untori europei.

In realtà la risposta americana è stata catastrofica. A partire da gennaio quando c’era già stata una prima vittima nello stato di Washington, che non aveva avuto alcun contatto esterno, ma la cui casistica inspiegabilmente non è mai stata indagata fin quando non sono cominciati a morire anziani di una vicina casa di cura, un focolaio del tutto autoctono. Il rinomato laboratorio nazionale Cdc di Atlanta (center for disease control) ha poi fatto cilecca. Dopo un forte ritardo, i tamponi distribuiti ai comandi regionali non hanno funzionato. Ancora oggi sono a disposizione solo una frazione di quelli che sarebbero necessari. Il monitoraggio epidemiologico è saltato e le cifre ufficiali non possono assolutamente essere considerate affidabili. La rimozione del presidente che ha blaterato di “manciata di casi che spariranno presto”, di “miracoli”, di “virus che si squaglierà presto al caldo” e di “truffa e complotto democratico” ha chiaramente aggravato la situazione e garantito la diffusione del virus a livelli che ora nessuno conosce.

Nel suo discorso il presidente negazionista ha inanellato una serie di insulsi slogan su come gli Stati uniti hanno i migliori medici, le tecnologie più avanzate e l’economia più splendida e dunque nessun virus ha alcuna chance “qui da noi”. E l’economia è stata un tema centrale del discorso proferito dal presidente che confonde regolarmente le cartelle mediche con la curva del Dow Jones. Trump ha anticipato una serie di misure e sgravi fiscali, principalmente a favore di aziende e gruppi industriali. D’altra parte un paio di giorni prima un analista di borsa dell’emittente Cnbc aveva articolato con rara chiarezza l’argomento “darwinista” del liberismo: “dovremmo inoculare tutta la popolazione. Il tasso di mortalità tanto non cambia ma in compenso la crisi poi passa più veloce e l’economia riprenderebbe a girare.”

Quello che ha davvero trasmesso il discorso di Trump a una cittadinanza sempre più attonita e ansiosa è stato un senso sempre maggiore di sbando. Ogni intervento del presidente, di solito attorniato da portaborse annuenti di fronte alle enormità che declama con caratteristica boria e trasparente ignoranza, ha ormai questo effetto. Induce un senso di profondo disagio e di sfiducia nelle statistiche ufficiali, aggravato dalla consapevolezza di un sistema sanitario pubblico insistente. L’appalto della salute pubblica a un sistema a scopo di lucro non è un’invenzione di Trump. Ma la sua amministrazione ha intrapreso con rara foga una crociata a tutto campo contro la scienza. Una rottamazione iniziata da subito con l’Epa, l’ente per la protezione ambientale, dato in gestione a esponenti dell’industria petrolifera che lo hanno smantellato, radiando scienziati, vietando riferimenti al mutamento climatico in rapporti ufficiali, trasferendo personale “inaffidabile” in postazioni remote. Le stesse tattiche sono state applicate al Cdc a partire da una riduzione del numero di osservatori preposti ai rischi di nuove pandemie. In regime trumpista gli scienziati che rifiutano di adeguare i dati alla linea ufficiale vengono considerati esponenti del “deep state” ostile al presidente. Nella giornata del discorso è trapelata la notizia che le raccomandazioni degli esperti per le dichiarazioni di emergenza devono essere vagliate e approvate da Jared Kushner, il genero di Trump, che all’emergenza medica applica presumibilmente tutto il know how di un giovane magnate immobiliare. A molti americani comincia a sorgere il dubbio che possa non essere questo il governo più idoneo a gestire una crisi nazionale.

Il patto fra Trump e i suoi sostenitori si basa su una implicita e reciproca connivenza. Per questo ad esempio i suoi comizi, svuotati di effettivo senso politico ricalcano piuttosto le cadenze dello stand-up, oratorie performative fatte per trasmettere complicità facendo leva soprattutto sul bisogno spasmodico di essere “riconosciuti”. Sono riti emozionali che prescindono dai fatti e il cui scopo è spesso semplicemente l’arrabbiatura provocata agli avversari. In questo contesto tutto viene perdonato al demiurgo demente. Ma nulla può rompere l’incanto come un pericolo concreto.

La pandemia rappresenta una minaccia senza precedenti per la magica mitomania di Trump e il virus rischia di trasformarsi nella sua kryptonite. Salvo il miracolo ufficialmente invocato dalla Casa bianca è difficile infatti prevedere uno scenario in cui la curva esponenziale del contagio non si adegui in America all’andamento globale. A maggior ragione per la recidiva, colpevole rimozione delle autorità. E se questo accadesse, assieme all’insufficienza della rete sociale verrà esposta la fallacia del ciarlatano.

Al termine di una giornata convulsa da voci contrastanti, che ha registrato l’ennesimo tracollo del mercato e la sospensione del campionato Nba causa positività di un primo giocatore, giungeva infine dall’Australia l’annuncio di Tom Hanks risultato positivo al Covid 19 assieme alla moglie. Presagio nefasto per un’America che si prepara ad affrontare un parabola inquietante con una netta sensazione di vuoto al vertice.

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