Con quei due milioni di euro avrebbero dovuto aiutare le vittime dell’usura e invece, secondo i risultati delle indagini della Guardia di Finanza, i soldi sono finiti direttamente nelle loro tasche. Al centro di tutto ci sarebbe Maria Antonietta Gualtieri, leccese, di 62 anni, la presidente della Associazione antiracket Salento, arrestata con le accuse di truffa aggravata, peculato e frode nella percezione di fondi pubblici destinati all’apertura di centri anti-racket nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce. Insieme a lei sono stati arrestati Serena Politi, 39enne di Carmiano, collaboratrice della presidente Gualtieri, il funzionario dell’Ufficio Patrimonio del Comune di Lecce, Giuseppe Naccarelli, e l’impiegato dell’Ufficio Patrimonio dello stesso Comune, Pasquale Gorgoni, detto «Lillino».

Complessivamente sono 40 gli indagati e tutti di primissimo livello: l’assessore del Comune di Lecce Attilio Monosi, gli avvocati salentini Marco Fasiello (figlio di Maria Antonietta Gualtieri), Fabio Varallo, indicato fittiziamente come legale dello sportello di Brindisi, Chiara Manno, falsamente indicata come legale dello Sportello di Taranto, il consulente del lavoro Francesco Lala e gli imprenditori Michele Pasero e Giancarlo Saracino. Indagati anche Salvatore Laudisa, responsabile del servizio economico-finanziario ed economato del Comune di Lecce e Paolo Rollo, responsabile della gestione mobiliare e immobiliare dello stesso Comune. Due i dipendenti del Comune di Brindisi indagati: Marco Locorotondo, 57 anni brindisino, e Paolo Damiano Sellani, leccese di 47 anni. Agli indagati è stata sequestrata la somma indebitamente percepita dal ministero, pari appunto a due milioni di euro.

Secondo le indagini della Guardia di Finanza, gli sportelli anti-racket esistevano solo sulla carta: l’obiettivo era infatti un altro, quello di avere accesso ai fondi messi a disposizione dal Fondo di Solidarietà per le vittime del racket. Per questo nel maggio del 2012, Gualtieri avrebbe stipulato un’apposita convenzione con I’Ufficio del commissario antiracket istituito presso il ministero dell’Interno e con le amministrazioni comunali di Lecce, Brindisi e Taranto per la creazione dei tre sportelli antiracket. Che pur non essendo attivi, negli anni hanno presentato una rendicontazione falsa sulle spese sostenute per il personale, l’acquisizione di beni e servizi o di trasferte mai sostenute, rendiconti che attestavano, falsamente, l’operatività degli sportelli relativamente al servizio di assistenza fornito alle vittime (con l’ausilio di specifiche figure professionali quali avvocati, commercialisti, esperti del settore bancario) e al numero di denunce raccolte, arrivando addirittura ad alterare il raggiungimento degli obiettivi richiesti dal progetto.

Il tutto è stato possibile, ovviamente, soltanto grazie all’appoggio di un lungo elenco di professionisti compiacenti: avvocati, commercialisti, ed esperti del settore bancario, con i quali sarebbero stati anche stipulati contratti di collaborazione fasulli con dipendenti esistenti solo sulla carta, ed emettendo buste paga fasulle per prestazioni mai effettuate. Una volta ottenuti i finanziamenti grazie alle false rendicontazioni presentate all’Ufficio del commissario antiracket, i fittizi collaboratori – sempre secondo quanto accertato dagli investigatori – li restituivano in contanti alla stessa presidente dell’associazione, per un importo che era pari alla differenza tra la cifra fatturata ed una quota del 20%, che fungeva da «compenso» alla stessa azienda fornitrice. I finanziamenti illeciti sarebbero stati destinati anche a realizzare opere infrastrutturali e all’acquisto degli arredi presso le sedi di Lecce e Brindisi. Tutto insomma, tranne che aiutare le vittime del racket.