Trudeau mantiene le promesse: ex rifugiati e indiani nel governo
Canada Obiettivi di Ottawa: accogliere 25mila siriani, tasse ai ricchi, marijuana legalizzata
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Il suono di un tamburo della tribù Cree e il canto degli Inuit hanno preso il posto delle cornamuse nella cerimonia di insediamento del nuovo esecutivo canadese. «Il mio governo guarda al futuro, questo paese è forte non malgrado la sua diversità culturale, ma proprio grazie ad essa», ha spiegato il nuovo premier Justin Trudeau, annunciando il cambio del cerimoniale prima di entrare nella Rideau Hall di Ottawa per il giuramento di rito, acclamato da migliaia di persone. E che quello intrapreso dal giovane leader liberale, arrivato a soli 43 anni alla guida del paese, non sia solo un cambio di stile, lo ha confermato il profilo scelto per il suo governo. Composta in egual misura da ministre e ministri, 15 donne e 15 uomini, l’équipe di Trudeau sembra infatti confermare le promesse fatte in campagna elettorale, riflettendo in modo attento le diverse anime, sia geografiche che culturali, della società del grande nord americano.
Dopo una lunga egemonia wasp, resa negli ultimi anni ancor più aggressiva dalla retorica sulle radici cristiane del Canada e la stigmatizzazione dell’Islam adottata dal premier conservatore Stephen Harper, la fotografia che emerge dal nuovo esecutivo sembra rendere giustizia alla realtà di un paese che per storia e vocazione rappresenta uno dei casi meglio riusciti di multiculturalismo. Se il governo precedente aveva reso la vita sempre più difficile a immigrati e richiedenti asilo, Trudeau ha scelto di offrire invece al mondo l’immagine di una società moderna e accogliente, nominando al posto di ministra alle Istituzioni democratiche, Maryam Monsef, una donna di trent’anni arrivata nel paese quando ne aveva 11 come rifugiata dall’Afghanistan.
Allo stesso modo, il ministero della Difesa è andato al tenente colonnello Harjit Singh Sajjan, che era già diventato nel 2011, il primo militare di religione sikh ad assumere il comando di un reggimento dell’esercito canadese. Il premier liberale sembra essersi ricordato anche degli impegni assunti nei confronti delle popolazioni indigene che gli avevano fruttato l’appoggio, per quanto mai ufficializzato, dell’Assemblea della Nazioni Autoctone, il movimento che riunisce oltre 900mila dei 2 milioni di «indiani» del Canada. Così, nel nuovo esecutivo siederanno l’Inuit Hunter Tootoo, nominato ministro della Pesca e del mare, e l’avvocato Judy Wilson-Raybould, già responsabile del movimento indigeno nella regione della Columbia-Britannica, che guiderà la Giustizia, dicastero cui spettano due dei dossier più caldi che attendono il nuovo esecutivo, quelli relativi all’eutanasia e alla legalizzazione della marijuana.
Altri tre dicasteri di peso andranno invece a dei nomi noti della politica locale. John McCallum, in passato già responsabile della Difesa, dovrà rendere concreta, dal suo posto di ministro all’Immigrazione, rifugiati e cittadinanza, la promessa fatta da Trudeau di accogliere 25mila siriani entro fine d’anno. Bill Morneau, celebre imprenditore di Toronto, vigilerà su Economia e finanze: la prima misura annunciata riguarda le tasse che saranno ridotte per il ceto medio e aumentate per i più ricchi. Stéphane Dion, già ministro dell’ambiente, si occuperà invece degli Esteri, terreno altrettanto delicato, visto che Trudeau ha intenzione di far tornare il paese sulla scena internazionale, smarcandosi in particolare dall’abbraccio del potente vicino statunitense, come ha dimostrato annunciando la sospensione delle azioni militari canadesi in Siria e in Irak.
Il tema su cui la svolta di Ottawa è però attesa con maggiore ansia alla prova dei fatti, riguarda il cambiamento climatico e il peso che il Canada potrà avere in futuro su questo terreno, dopo che i conservatori avevano portato il paese fuori dal protocollo di Kyoto, favorendo solo gli interessi delle multinazionali dell’energia. Da questo punto di vista, il suo primo esame la nuova ministra dell’ambiente Catherine McKenna dovrà superarlo già nelle prossime settimane a Parigi in occasione della Cop21, di cui il Canada è fin d’ora uno degli ospiti più attesi, anche se nello scomodo ruolo di «sorvegliato speciale».
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