C’è un vero e proprio tesoretto per le politiche abitative nel doppio fondo del bilancio pubblico. Da tempo se ne parla, da quando i sindacati degli inquilini chiedono conto dei soldi di Gescal, l’ente di gestione delle case dei lavoratori che almeno dal Piano Fanfani degli anni Sessanta fino alla fine degli anni Novanta, col governo Dini, finanziava le sue attività con prelievi dalla busta paga degli stipendi dei lavoratori dipendenti. Erano soldi che dovevano rafforzare le politiche abitative, che però nel nostro paese ormai da decenni non vengono perseguite in modo sistematico e pianificato.

Due giorni fa il sottosegretario alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri, rispondendo a un’interrogazione dei deputati Rossella Muroni, Erasmo Palazzo e Federico Fornaro in commissione ambiente, ha finalmente comunicato che presso Cassa depositi e prestiti compare il conto corrente numero 28128, sul quale giacciono ben 980 milioni di euro. Sono quattrini vincolati alla destinazione per la quale erano stati accantonati: la tutela del diritto alla casa. «Questi soldi rappresentano un atto di accusa nei confronti delle regioni e dei comuni che negli ultimi trent’anni pur potendo disporre di ingenti risorse non le hanno utilizzate o le hanno deviate incostituzionalmente verso altri programmi», denunciano da Unione inquilini. Uno dei casi più clamorosi si è verificato negli anni scorsi a Cosenza, dove decine di senza casa sono costretti a vivere in alloggi di fortuna o si organizzano per occupare posti abbandonati e sottrarli alla speculazione. Nel frattempo i fondi Gescal sono stati utilizzati per finanziare la costruzione dell’appariscente ponte disegnato da Calatrava.
Massimo Pasquini, segretario nazionale di Unione inquilini, punta il dito contro le amministrazioni che lamentavano mancanza di risorse senza attingere dai soldi accantonati nei fondi Gescal. «Questa presunta ’incapacità di spesa’ è intollerabile – spiega Pasquini – Tanto più se si considera che la precarietà abitativa coinvolge 650 mila famiglie. Ogni anno 60 mila nuclei subiscono una sentenza di sfratto e nel 90% dei casi è causata da morosità. Regioni e comuni dovrebbero chiedere scusa ai lavoratori che hanno versato alla Gescal per anni senza che venissero costruite case popolari e senza che quelle risorse venissero utilizzate». Il sospetto è che quei soldi non venissero utilizzati su pressioni dei grandi immobiliaristi, timorosi che il pubblico potesse minare i loro profitti.

Il programma concordato dalle forze che sostengono il governo prevede l’attuazione di un Piano di edilizia residenziale pubblica. Da Unione inquilini dicono che adesso non ci sono più scuse: suggeriscono di ricentralizzare le risorse e utilizzare fondi ex Gescal anche per finanziare una parte del Green new deal annunciato da Conte, riqualificare il patrimonio già costruito e migliorare l’efficienza ambientale delle abitazioni. A questo proposito, qualche giorno fa l’Ispra ha diffuso i dati del consumo di suolo negli scorsi 12 mesi. In alcuni casi sono impressionanti. A Roma il cemento ha consumato ben 70 ettari di terreno verde, un volume di costruito che corrisponde all’estensione totale di una città come Rimini. Nelle grandi città nel 2018 si sono persi in media 24 metri quadri per ogni ettaro di area verde. La popolazione continua a decrescere e il cemento ad aumentare: è come se nel 2018 avessimo costruito quasi 500 metri quadri per ogni cittadino in meno. In totale, quasi la metà della perdita di suolo si concentra nelle aree urbane. Solo Torino è in controtendenza.