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Troppi raid, i rom chiedono “sicurezza”

Troppi raid, i rom chiedono “sicurezza”Il campo rom di Vaglio Lise a Cosenza

Cosenza Aggressioni e pestaggi, lettera aperta degli abitanti del campo di Vaglio Lise

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 12 settembre 2013

Almeno sette aggressioni a colpi di mazze da baseball ai danni di rom giovani e adulti, pestati a caso, tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre. Poi un paio di blitz notturni, con tanto di pistole brandite fuori dai finestrini, puntate contro baracche abitate anche da donne e bambini. Vivono nel terrore i circa 700 abitanti del campo nomadi di Vaglio Lise, alle spalle di via Popilia, storico quartiere popolare di Cosenza. Di giorno escono poco dal villaggio. Di notte, a turno, vegliano tra i bassi tetti in eternit e lamiera per evitare d’essere colti di sorpresa. Chissà cosa ne pensa Veronica Gigliotti, delegata dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che nel 2012 il governo ha incaricato di curare in Calabria la strategia nazionale per l’inclusione dei rom. Se l’attuazione del programma d’integrazione non accelera, rischia di perdere i diretti interessati. Che poche ore fa hanno pubblicato una lettera aperta. «Ogni volta che usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa – si legge nella nota – veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono di volersi vendicare per aver subito dei furti». Alle istituzioni i rom chiedono «sicurezza». Chiaro il loro appello al resto della cittadinanza: «Ai parenti e agli amici di questi giovani che fanno le ronde, chiediamo di parlare con loro, spiegare che l’uso della violenza è sempre sbagliato, e che attaccare persone innocenti solo in base alle loro origini etniche, è un crimine contro l’umanità».
A Cosenza i raid sono una novità assoluta. Contro gli zingari c’erano state solo raccolte di firme e appassionati sermoni bipartisan di esponenti politici che chiedevano alle autorità di mandarli via senza troppe cerimonie. Dopo il trasferimento dell’antica comunità di origini gitane dal vecchio e pluridecennale villaggio nelle nuove case del quartiere San Vito, fatte costruire alla fine degli anni ’90 dal sindaco Giacomo Mancini, il nuovo campo rom della città è sorto abusivamente a ridosso del fiume, intorno alla metà del decennio scorso, ospitando decine di famiglie provenienti dalla Romania. La giunta di centrosinistra, guidata dal democristiano Perugini, di fatto ignorò il problema, forse auspicando un intervento duro e liberatorio della Procura, che infatti non si fece attendere. Si susseguirono diversi blitz di polizia e carabinieri per schedare i rom in massa. Quindi, nel 2009, l’ordinanza di sgombero coatto. Eppure l’azione di forza fu scongiurata. La mobilitazione sociale e un paio di ricorsi legali bloccarono ruspe e camionette blu.
La ong Mo.C.I. ha continuato ad accompagnare la frequenza scolastica dei bambini. Sentiero Nonviolento ne ha seguito le vaccinazioni. Nella Scuola del Vento, una baracca adibita a luogo sociale, diversi operatori volontari hanno dato vita a cineforum e laboratori creativi. Due anni fa, il neoeletto sindaco Mario Occhiuto ha disposto l’erogazione dell’acqua corrente nel campo e partorito un progetto di ecovillaggio per dare una sistemazione provvisoria, ma dignitosa, alle famiglie accampate sulla sponda sinistra del fiume Crati. In principio la proposta ha trovato timidi consensi. Poi sono emersi tutti i limiti di un’idea, quella dei campi attrezzati, ormai superata. Il progetto attende di essere approvato in sede regionale. Un primo stop è arrivato dalla Regione: il sito individuato dal Comune è privo dei requisiti di sicurezza, perché a rischio esondazione.
Intanto la baraccopoli cresce, tra indifferenza, minacce e tragedie sfiorate. L’anno scorso, in seguito a uno dei ricorrenti incendi accidentali, numerosi nuclei familiari sono rimasti senza tetto. Hanno trovato alloggio nel palazzetto dello sport di Casali, da cui non sono usciti più. Pochi mesi fa, sulla scia del lavoro svolto a Roma dall’associazione 21 luglio, dopo una lunga consultazione all’interno del campo le associazioni cosentine hanno provato a imporre agli enti competenti un’Agenda rom. È stata presentata una lista di scadenze e azioni. Anzitutto, la costituzione di un tavolo tecnico che, con la partecipazione dei rom, stabilisca le modalità di chiusura graduale della baraccopoli, attraverso diverse soluzioni abitative che tengano conto delle caratteristiche dei singoli nuclei familiari. Nell’immediato, l’Agenda prevede la normalizzazione del servizio scuolabus, maggiore igiene all’interno del campo, riconoscimento della residenza, riattivazione delle vaccinazioni per i bambini, un regolamento per la raccolta ambulante dei materiali ferrosi, un evento annuale dedicato al Porrajmos, lo sterminio degli zingari nei lager nazisti. Resteranno solo parole?

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