Circondato come non mai dal mistero, l’accordo sarebbe stato firmato venerdì scorso, 26 settembre, a Phom Penh. Protagonisti: il ministro per l’immigrazione australiano Scott Morrison e il primo ministro e ministro degli Interni cambogiano Sar Kheng che ha accettato che il suo Paese si prenda 1.000 profughi che l’Australia non vuole più tenersi in cambio di un bel po’ di soldi. Cifre non se fanno, ma si stima in 36 milioni di dollari la somma pagata da Canberra per risolvere in maniera a dir poco drastica il problema legato alle migliaia di richiedenti asilo che sbarcano sulle sue coste. Una decisione che ha scatenato sul governo conservatore un fiume di polemiche e l’ira delle organizzazione internazionali, Onu in testa, preoccupate dalla sorte che spetterà ai profughi una volta deportati in uno dei paesi più poveri del mondo dove, stando a quanto si è appreso, dopo aver ricevuto un aiuto per sopravvivere i primi giorni, dovranno provvedere da soli perfino per trovarsi un alloggio. Proteste che arrivano non solo dall’Occidente. «Quanto sta accadendo «è vergognoso e illegale», ha detto ad esempio il presidente del Centro della Cambogia per i diritti umani, Virak Ou. «Il governo australiano ha l’obbligo di proteggere i profughi, mandarli in Cambogia non è una maniera in cui un Paese responsabile protegge i rifugiati».
Da anni l’Australia è famosa per le sue politiche estremamente dure e di chiusura nei confronti dei migranti. Si tratta in genere di persone che dopo essere transitate per l’Indonesia tentano la traversata nella speranza di vedersi riconoscere lo status di rifugiati. Come accade con i profughi nordafricani nel Mediterraneo, anche questi viaggiano a bordo di carrette del mare sovraccariche, imbarcazioni che vengono intercettate al largo dalla marina australiana che li trasporta in campi di detenzione allestiti dal governo conservatore in due isole del Pacifico, Manus in Papua Nuova Guinea e Naurau (su quest’ultima si troverebbero i primi mille profughi trasferiti loro malgrado in Cambogia). Onu e organizzazioni come Amnesty international non hanno mancato di sottolineare più volte le condizioni di vita «inumane» alle quali sono costretti i profughi in questi campi, minori compresi. A novembre dello scorso anno funzionari dell’Alto commissariato per i rifugiati che hanno visitato i due campi in cui sono rinchiusi circa 2.000 uomini, ha denunciato in un rapporto come il vero scopo dei centri sarebbe quello di rimpatriare i migranti piuttosto che verificare il loro diritto a vedersi riconoscere lo status di profughi. Accuse ribadite anche da Amnesty che dopo aver ottenuto che tre suoi ricercatori potessero ispezionare il campo di Manus, ha parlato di condizioni di vita crudeli, inumane, degradanti e addirittura in violazione delle convenzioni contro la tortura. «Il personale medico ci ha riferito che oltre il 30% dei detenuti ha problemi di salute mentale», hanno denunciato i ricercatori. «Abbiamo parlato con persone che hanno espresso il desiderio di autolesionismo e anche di suicidio. Qualcuno ha detto che vorrebbe essere morto in mare». E ad agosto di quest’anno il governo è rimasto coinvolto in uno scandalo dopo la denuncia fatta alla Commissione dei diritti umani sui minori da un medico, lo psichiatra Peter Young, che ha accusato lo stesso governo di avergli ordinato di nascondere i risultati di una ricerca dalla quale emergeva un’allarmante incidenza di problemi mentali tra i minori detenuti nei campi per richiedenti asilo.
Adesso l’accordo con la Cambogia, che inevitabilmente riaccende le polemiche sul trattamento riservato ai profughi. «Siamo preoccupati che tali accordi bilaterali comporti l’abbandono di certi obblighi della convenzione sui profughi», ha commentatol’Unhcr alla notizia dell’accordo, mentre la responsabile immigrazione dei Verdi australiani, Sarah Hanson-Young, ha accusato il ministro Morrison «di comprare la collusione di uno dei più poveri e corrotti governi, perché agisca come discarica umana per l’Australia».