Morto un Expo se ne fa un altro. Da Milano a Roma il passo sarà pure enorme quanto a moralità (nella classifica dell’Anticorruzione), ma è breve per il prefetto Francesco Paolo Tronca che dopo aver partecipato ieri alla chiusura in pompa magna della manifestazione commerciale internazionale sbarcherà oggi nella Capitale per notificare la sua nomina a commissario prefettizio. E così, dodici ore dopo il «golpe romano», mentre si apre l’ultima celebrazione nella cittadella di Rho, Roma si sveglia con lo scempio politico e istituzionale già verso il dimenticatoio e con un benvenuto corale al prefetto di Milano che apre la stagione dei commissari.
Dalla Cgil Cisl e Uil all’Osservatore romano, dal Nazareno a Palazzo Chigi, da destra a sinistra non ci sono altre parole che quelle di augurio al “salvatore” del Giubileo e di condivisioni del pensiero renziano: «Pagina chiusa, ora basta polemiche, tutti al lavoro». A porre il problema della democrazia violata, solo Sel, l’ex consigliere radicale Riccardo Magi e quel che resta della minoranza dem che chiede l’immediata convocazione della direzione del Pd. Ma il premier/segretario lo ha ribadito anche nei Tg di ieri sera: «Nessun mandante, nessuna congiura», ha negato Renzi rispondendo alle accuse di Ignazio Marino. Piuttosto, «sono convinto che con il lavoro di Tronca, di Gabrielli e dei collaboratori, ridaremo ai romani fiducia e entusiasmo».

E così il partito dell’«Expo modello da esportare» si infoltisce di ora in ora perché il ruolo di supplenza alla politica passa ora, dopo le procure, ai tecnici. L’esposizione milanese è «l’orgoglio di chi ha vinto una sfida che sembrava impossibile – esulta il premier – una sfida vinta non dal governo ma dall’Italia, vinta dai passeggini in coda per visitare i padiglioni, ha vinto l’Italia del “perché No”». «Abbiamo scelto il prefetto Tronca perché il Giubileo deve funzionare come ha funzionato Expo – afferma il ministro Angelino Alfano – un evento mafia-free, con tanto coordinamento delle forze dell’ordine, tanta sicurezza, tanta capacità di prevenire i problemi e di affrontare insieme i momenti di crisi quando si verificano». E come tecnico si presenta Tronca. In grande sintonia con il prefetto di Roma Franco Gabrielli che è a capo della cabina di regia per il Giubileo: «Quando lui era capo della Protezione civile – ricorda – io ero capo del dipartimento dei vigili del fuoco: più amicizia di così».

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Il prefetto di Milano arriva a Roma con le migliori intenzioni: «Ho sentito il presidente Renzi gli ho manifestato tutto il mio orgoglio per aver avuto fiducia in me». Ma avverte: troppo diverse le problematiche, perciò ad essere esportabile è solo «il lavoro di squadra». Calato nel suo ruolo istituzionale («Non so se vedrò il sindaco Marino, nelle mie esperienze passate di commissario non ho mai incontrato il sindaco uscente»), e confidante nel suo «vero senso di responsabilità» e «dello Stato» che lo metterà al riparo, sostiene, dalle pressioni politiche, Tronca nega che la formazione del dream team e della commissione prefettizia sia già pronta nel cassetto. In realtà, nulla è affidato all’improvvisazione e infatti Marco Rettighieri, direttore di Italferr, società che ha diretto i lavori per Expo, già rivendica l’applicazione, a Milano, del «metodo Fs, quello apprezzato anche all’estero: gioco di squadra e tanta sostanza». E mentre c’è chi, nel Pd, gli chiede già di annullare alcune delibere di Marino (tavolino selvaggio, ad esempio), il forzista Gasparri avverte: «Tronca assicuri la neutralità politica ed escluda figure come l’ex assessore alla Legalità Alfonso Sabella».

Quanto a Ignazio Marino, l’ex sindaco ha raccontato di aver ricevuto, tra una passeggiata e l’altra nelle vie del centro storico, assediato dai giornalisti e salutato dai cittadini plaudenti o fischianti, telefonate e messaggi da «alcuni leader del Pd, ma per parlarmi a livello personale. Ho grande stima di loro – ha aggiunto – per le parole che hanno usato». Ma, a parte «alcuni leader», il partito renziano rivendica l’epilogo antidemocratico della giunta Marino. Per tutti parla l’uomo solo al comando: «Ventisei consiglieri comunali, pur di mettere fine a questo balletto indecoroso, si sono dimessi. Si sono dimessi loro, hanno rinunciato alla poltrona con un grande gesto di stile», è la versione di Renzi. E anche del commissario Matteo Orfini che si descrive come colui che si è immolato quasi oltre il limite per difendere l’ex sindaco fino a che la «perdita di credibilità e autorevolezza» di Marino, di cui «solo lui è responsabile», ha fatto naufragare l’esperienza di governo di Roma. «Il suo racconto autoassolutorio è semplicemente ridicolo – aggiunge il presidente dem -. Stava a lui prenderne atto e chiuderla responsabilmente Ha scelto un’altra strada e quella responsabilità se la sono assunta al posto suo i consiglieri del Pd. Si sarebbe potuto discuterne in Aula, come avevamo proposto al sindaco. Bastava non ritirare le dimissioni prima e riunire subito il Consiglio. Marino non lo ha voluto e non può scaricare altrove anche questa responsabilità».

Una lettura che non convince una fetta, sia pur risicata, del Pd. «Ancora una volta decisioni politiche cruciali vengono assunte con accordi trasversali non chiari, fuori dalle sedi istituzionali e a discapito della trasparenza», denuncia Sergio Lo Giudice, portavoce di ReteDem, chiedendo la convocazione immediata della direzione nazionale. Critico anche Gianni Cuperlo: se Marino non è andato via per gli scontrini come ripetono «gli esponenti di punta del mio partito», con «tutta evidenza la difficoltà del rapporto tra il Campidoglio e la città era un fatto acclarato da un tempo più lungo. Perché – chiede il leader di Sinistradem – a un certo punto si sceglie la via di una radicale inversione di linea? È solo il fallimento di Marino? Del Pd? O è anche il venir meno di un’idea praticata della democrazia?».