Finalmente, dopo un’estenuante attesa, è arrivato, sulle console e sui pc, Dying Light 2 Stay Human, seguito di uno dei più interessanti giochi action sugli zombi. Qualcosa però, da quel lontano E3 del 2018, in cui il progetto venne annunciato, dev’essere andato storto tra licenziamenti e rinvii, tra promesse non mantenute e una certa confusione generale a minare il progetto di Techland. Se per i film è raro che i sequel siano migliori degli originali, a parte capolavori come Il padrino 2, per il mondo dei videogames le cose cambiano: ad un buon primo capitolo segue, quasi sempre, un numero due ancora più riuscito. Basta pensare a Resident evil 2, a Tomb Raider 2, a Uncharted 2, continui più entusiasmanti, più grossi, più spettacolari. Dying light era un videogame che mischiava la lezione action più zombi di Dead island per rinnovarla con un’inedita variante parkour: il ritmo veloce, la storia ottima, il doppiaggio localizzato in italiano, i nemici vari e le molte ore di gioco avevano reso il titolo Techland un instant cult del 2015.

Era lecito quindi aspettarsi un seguito che ampliasse le già ottime premesse soprattutto alla luce delle promesse fatte da Chris Avellone, leggendario game designer, autore di alcuni dei gdr più influenti (Fallout New Vegas e Pillars of Eternity, tra gli altri). “Parole, parole”, come cantava Mina nel 1972, e soltanto parole sono stati gli annunci di quell’evento: del mondo open world capace di mutare ed evolversi a secondo delle scelte del giocatore non è rimasto nulla. D’altronde i videogames sono stati da sempre scenario per bugie grandiose, dalle favole di Peter Molyneux, alla grafica di Watchdogs 2 fino al recente tombolone di Cyberpunk 2077. Scoprire le limitazioni di Dying Light 2 Stay Human fa ancora più male, se è possibile, perché non ci aspettavamo, e non ci meritavamo, un tale sfacelo: un gioco accettabile da un gioco grandioso, un seguito che vive (male) un downgrade di intenzioni, di ambizioni, sempre a metà tra il vorrei ma non posso, tra un sistema di level design grandioso e la mestizia della narrazione, tra nemici troppo uguali e un sistema di combattimento disastroso, semplice e poco appagante.

Se la città di Harran aveva conquistato i nostri cuori di videogiocatori con l’ambientazione solare, esotica e anomala rispetto ai soliti racconti di zombi, nel seguito, ambientato a 50 anni dal precedente, ci troviamo in una più anonima Villedor, immaginaria città costruita da baracche e fortificazioni, incredibilmente priva di qualsiasi fascino. Non fa più paura neppure il dittico giorno/notte, essendosi abbassato di molto il livello di difficoltà: basterà imparare il semplice uso del tasto parata più quello di attacco e uccidere nemici pericolosi ma replicati con svogliatezza al parossismo sarà impresa semplice. Stupisce, è vero, ancora il sistema di parkour e, in questo, Dying Light 2 Stay Human è un’opera incredibile per la velocità delle sue azioni, per la varietà di esplorazione di un mondo che, più che nel prototipo e in Mirror’s edge, è verticale, soddisfacente e adrenalinico.

È però l’unica cosa degna di nota visto che niente, in questo seguito, stupisce, nulla risulta davvero avvincente in una narrazione monotona e infantile, in una storia che risulta a volte criptica e incomprensibile, frutto forse del licenziamento di Chris Avellone per presunte molestie sessuali. Mai nessuna delle scelte che faremo davvero influenzerà un mondo solo all’apparenza dinamico minando anche la rigiocabilità dell’opera che vanta ben 500 ore di esperienza e diversi dlc in programmazione. In più la mancanza del doppiaggio italiano, un personaggio principale che manca di carisma, i bug e i rallentamenti, soprattutto su console old gen, lo rendono un gioco rotto, dimenticabile e purtroppo da lasciare sugli scaffali. Rigiocare al primo capitolo è la scelta più difficile e dolorosa per chi ci aveva creduto.